MECCA



 Susan Straight, NN Editore

VOTO: 9

MECCA è un libro a più voci, e per questo risulta molto complesso. 

Si inizia con l'agente della stradale Johnny Frías, che si sente dire di "Tornarsene in Messico" anche se la sua famiglia è in California da generazioni; si continua con Ximena, una giovane cameriera arrivata negli Stati Uniti illegalmente. Lei deve fare la spola tra tre lingue: l'inglese, lo spagnolo e il mixteco (idioma degli indios della zona di Oaxaca). E poi ci sono Matelasse, una madre i cui antenati sono arrivati dalle piantagioni della Louisiana, e Bunny, una donna che finge di essere più vecchia di quello che è; e tante altre voci della diversità. A legarli tutti è un delitto compiuto vent'anni prima e che tornerà a presentare il conto.

Susan Straight scompone il melting pot americano mostrandoci che tutti veniamo da un altro posto (probabilmente anche il poliziotto della immigrazione col suo fiero cognome di origini irlandesi).

Durante la lettura, mi è venuto in mente il materiale che avevo letto all'università per il modulo sulla letteratura chicana: la ballata YO SOY JOAQUÍN di Rodolfo "Corky" Gonzalez che descrive un uomo perso nella confusione di una società dominata dai bianchi. A questo va aggiunto il lavoro di Gloria Anzaldúa che nel suo libro più famoso - BORDERLINE / LA FRONTERA analizza una lingua mista e introduce la figura dei nepantleras, persone che si trovano "nel mezzo" e si muovono tra due (o più) mondi, spesso in conflitto.


MECCA utilizza uno stile scorrevole e cinematografico che cattura al meglio gli istanti, proprio come se fossero fotogrammi. Ne scaturiscono scene molto crude e un paesaggio riarso, che diventa a sua volta protagonista del racconto: la California delle fattorie e dei ranch - con i grandi canyon pronti a bruciare - contrasta con Hollywood e le stranezze dei ricchi.

Il tema portante è l'identità: ci sono le signore che vogliono fare un intervento estetico, Reynaldo che si vuol far passare per brasiliano anche se è nato a San Bernardino, Bunny che si finge anziana: tutti giocano ad essere quello che non sono.

Una spiegazione sul titolo: "Mecca" è una città nella California meridionale. È questo che c'è scritto sul documento falso di Ximena, e lei pare affascinata dal fatto che in origine La Mecca sia in realtà un luogo santo, dove si recano migliaia di pellegrini. È come riconoscere per se stessi un passato sacro, qualcosa che va addirittura al di là del tempo. E questo è, in un certo senso, quello che fanno i chicanos quando parlano di Aztlán, la mitica terra a nord da cui sarebbero provenuti gli Aztechi.


Commenti

  1. Una recensione puntuale ed evocativa per un libro che rappresenta l'attualità che tutti stiamo vivendo. Lo leggerò.

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