MADRE DELLE OSSA

 


David Demchuk, Zona 42

MADRE DELLE OSSA è un libro corale fatto di piccoli ritratti – brevi cammei – che rimandano quasi tutti alla zona dell'Est Europa, al periodo della Holodmor (morte per fame) negli anni 1932-1933. È questo il nome con cui in Ucraina ci si riferisce allo sterminio dei contadini che non si erano piegati alla coltivazione forzata e per questo erano stati condannati agli stenti dal regime sovietico.

I personaggi che David Demchuk ci presenta sono molto vividi – anche grazie alle fotografie che il rumeno Costicã Acsinte scattò tra il 1935 e il 1945. Si tratta di figure un po' inquietanti, sguardi dal passato che, coi loro occhi penetrati dritti in camera, sembrano dare corpo a qualcosa di oscuro. E infatti ogni racconto ha in sé un elemento sovrannaturale: i mostri del folklore convivono, fagocitano e divorano gli umani come se non ci fosse una barriera, se non un fragile specchio. Il tema del doppio torna spesso. Alcuni personaggi si vedono riflessi e non si riconoscono, o vengono risucchiati in un mondo parallelo che solo all'apparenza è migliore di quello vero (come accade, per esempio, in CORALINE di Neil Gaiman). In psicologia come in letteratura, lo sdoppiamento è un meccanismo difensivo della mente che, se in un primo momento serve a superare i limiti della vita – primo fra tutti la morte – diventa poi esso stesso un ostacolo che conduce lentamente alla follia. Così avviene a uno dei protagonisti, che si trasforma in un angelo della morte e in un pedofilo.

Ognuno è preda di un'entità che ha dentro di sé, come Lena che convive con il mostro Germoglio cucito e sigillato nella sua schiena.

L'autore ripercorre la memoria, utilizzando il potere della narrazione per non dimenticare: tutto si svolge in tre villaggi collegati che orbitano economicamente intorno a una fabbrica di porcellana, un luogo in cui si producono ditali con la polvere d'osso e avvengono strane e frequenti morti.

Ciascuno resta legato alla propria terra e al ricordo, pur essendo a volte vittima della diaspora degli umili; alcuni racconti si svolgono infatti in Canada, ma è come se il passato avesse valicato le frontiere seguendo come un pesante bagaglio le persone.

Le immagini gotiche e weird di Demchuk sono nitide e a volte forti, e non mancano i riferimenti alla comunità queer di cui lo scrittore fa parte.


Non mi ha convinta del tutto la traduzione di Claudia Durastanti, che sembra voler usare parole ricercate laddove forse non ce ne sarebbe la necessità (non lo so per certo: dovrei leggere l'originale).


Prossima lettura – per completare il quadro geografico e storico – IL PRINCIPE GIALLO di Vasyl' Barka: scritto nel 1962, pubblicato per la prima volta in Italia nel 2016 e riproposto dalla nuova casa editrice Tempo Sospeso. Il curatore di questa recente edizione sostiene che la Holodomor sia una vicenda tragica che va conosciuta per capire la distanza tra il mondo russo e quello ucraino. Suppongo che nel libro non troverò gli aspetti orrorifici che hanno valso a Demchuk il Premio Sunburst, dedicato alle opere canadesi fantastiche e la candidatura a diversi altri riconoscimenti quali lo Scotiabank Giller Pize e l'Amazon.ca First Novel Award. Sono tuttavia convinta che nelle vicende horror si annidi sempre una briciola per comprendere i sentimenti umani

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