TOKYO STAZIONE UENO

 


TOKYO STAZIONE UENO è molto interessante perché ci porta all'interno di una comunità di emarginati: i senzatetto del parco di Ueno, nella fiorente città di Tokyo.

Pensando all'economia giapponese, raramente ci vengono in mente le persone che vivono ai suoi margini, di fatto dimenticati o addirittura bistrattati dalla società.

Chi passa per il parco non nota questa gente che vive in tende di plastica e cartone, oppure si gira dall'altra parte infastidita, fingendo che non esista.

Yū Miri coglie piccoli stralci di conversazione sciolti, come dei cammei: è la vita quotidiana delle persone comuni che continua nonostante la presenza dei clochard.

Il presente e il passato si fondono in un flusso continuo in cui non è sempre facile distinguere la timeline.

Il protagonista è Kazu, un uomo di settantatré anni che nella vita ha svolto vari lavori. Ha lasciato la famiglia nella città di Sōma (prefettura di Fukushima) per recarsi a lavorare prima a Sendai (nel nord) e poi a Tokyo e così facendo ha perso quasi completamente il contatto con i figli, che sono cresciuti senza sentire un attaccamento particolare verso il padre.

Kazu è uno dei tanti dekasegi: uomini che per l'appunto abbandonano la famiglia per tentare la fortuna lavorativa altrove.

Solo dopo la morte improvvisa del figlio, Kazu si rende conto di ciò che ha perso e inizia a interrogarsi sul senso stesso della sua esistenza. Ma una decisione improvvisa lo porta a vivere per strada, nel parco di Ueno – grande polmone ecologico e culturale di Tokyo.

Qui conosce una comunità diversa, basata sulle proprie regole di vicinato e solidarietà a seconda delle zone del parco.

Tra i senzatetto c'è anche il vecchio Shige, un intellettuale, che racconta a Kazu la storia dietro ai monumenti che costellano quel luogo.

È forse la parte più difficoltosa del libro perché si parla di eventi storici poco noti a noi occidentali e di conseguenza la lettura è un po' rallentata dalla presenza di molte note a piè pagina.

Tuttavia, il modo in cui l'autrice spiega questi fatti e la descrizione dei riti funebri buddhisti sono davvero carichi di significato e antropologicamente rilevanti.

C'è una attenzione dettagliata sulle linee dei treni che collegano la città come nervature, soprattutto si nominano spesso le stazioni della linea Yamanote di cui la Stazione Ueno fa parte.


La scrittura è molto accurata, attenta ai continui collegamenti tra passato e presente, con un colpo di scena che lascia interdetti. In realtà, si sa già come finirà il libro – ci sono tutti gli indizi – ma si è portati a credere che si stia usando una metafora della morte per indicare la completa sparizione dell'individuo dalla società.


Leggendo TOKYO STAZIONE UENO mi è subito venuto in mente il capolavoro di animazione TOKYO GODFATHERS di Satoshi Kon, ambientato nello stesso contesto.


Un applauso all'edizione di 21 Lettere che ha pubblicato il libro in un formato carino e molto maneggevole, veramente “tascabile” e ha scelto una bellissima copertina.

In ultimo, va ricordato che questo libro è stato tradotto direttamente dal giapponese e non dall'inglese, e per questo ha ottenuto anche il riconoscimento ufficiale della Japan Foundation.

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