CHE RAZZA DI LIBRO!

 

Jason Mott, NN Editore


VOTO: 7/8

Uno scrittore in tour promozionale per il suo libro incontra un ragazzino nero come la notte e ne resta affascinato e turbato. Il problema è che lo scrittore ha una fervente immaginazione che spesso gli fa vedere cose e persone che non ci sono. C'è dunque da chiedersi se il Ragazzino – anche lui senza un nome proprio se non quel soprannome odioso che gli hanno affibbiato i bulli della scuola: “Nerofumo” - esista davvero oppure no. Ma in fondo questo conta poco perché, come dicono gli Editors nell'unica canzone loro che mi piace: “Men are so far from what's real”.

Anche il bambino è in qualche modo speciale e sostiene di poter diventare invisibile, un superpotere che lo mantiene protetto da tutti coloro che vogliono fargli del male. Ma funziona?

In realtà, sia lo scrittore che il bambino sono l'esemplificazione del problema razziale negli Stati Uniti e, se anche il solo chiamarlo “problema” è un errore perché lo identifica come tale, è innegabile che ci sia una certa questione di fondo che però ( non scordiamolo mai), coinvolge i neri come qualsiasi altra minoranza all'interno del melting pot americano e che si concretizza nell'ultimo dei tanti movimenti sociali: quello di BLACK LIVES MATTER. Sulla scia di CHE RAZZA DI LIBRO ho iniziato a leggere il libretto politico di James Baldwin intitolato LA PROSSIMA VOLTA IL FUOCO, ed ho trovato molti punti di contatto in quel primo 30% che ho affrontato. Ciò che spinge i bianchi a comportarsi secondo leggi e consuetudini che sono una palese ingiustizia è la paura. E così il terrore muove tutti – sia bianchi che neri – nelle pagine di Mott.

Secondo la psicanalista dello scrittore, la sua “malattia” deriva da un trauma e quindi, ritrovarsi dopo tanto tempo nella propria città natale apre vecchi cassetti dimenticati. Lo scrittore ha passato la vita a fuggire dalle emozioni catalizzando tutto nella scrittura. A questo proposito, troviamo anche passaggi molto toccanti sulla celebrità, vista come una scatola in cui ogni cosa si ripete uguale mille volte: è un concetto che ho già visto sviscerato in diverse canzoni rock (MAN IN THE BOX degli Alice in Chains sembra il riferimento primario qui).

Persino la morte viene sublimata. Le persone acquisiscono corpo e identità solo nel momento della dipartita, come in FIGHT CLUB avveniva per il “soldato” Robert Paulson, ma le folle che urlano nomi che saranno presto dimenticati perché presto si passerà al prossimo sono altrettanto estranianti e scollegate dalla realtà, ma c'era chi diceva che siamo tutti prodotti di un sogno. Mi rifaccio più ALICE di Carroll che non a Calderón De la Barca peché nel corso del romanzo troviamo figure che svaniscono a mezz'aria come un fantomatico Gatto del Cheshire.


Come nota la traduttrice Valentina Daniele in una nota finale, lo stile di Jason Mott è sempre molto lieve – anche nelle scene più drammatiche – e scivola facilmente dal concreto all'immaginifico con accenti che un critico potrebbe definire di “realismo magico”, se questa etichetta non fosse stata abusata nel corso degli anni. D'altronde il romanzo d'esordio di Jason Mott, THE RETURNED,  trattava di morti che tornano nel mondo dei vivi. 

Un altro commento della postfazione riguarda le possibili trappole traduttive in cui si è indotto a cadere: innanzi tutto HELL OF A BOOK è un espressione un po' più forte di CHE RAZZA DI LIBRO e "Che razza di libro" spinge a pensare che il tema trattato sia uno solo, mentre ce ne sono una pluralità; e poi ci si trova davanti a molti modi di dire tipici dei film in bianco e nero pieni di uomini col cappello e il doppiopetto e donne fatali che parlano a raffica: locuzioni che lasciano un certo senso di imbarazzo, quasi ci si dovesse giustificare leggendole sulla pagina.

I personaggi sono tutti strani e indimenticabili (“interessanti”, come li definirebbe lo scrittore) ma ancora una volta si è portati a chiedersi chi esista davvero in questa sorprendente carrellata umana. Ma ha poi molta importanza? Anche la protagonista femminile – Kelly – sembra avvolta nell'incertezza nella non-realtà; chiamata più che altro come àncora salvifica alla quale aggrapparsi per trovare stabilità dopo aver perso l'equilibrio (mentale).

Quando lo scrittore vede tutti quanti riuniti in una stanza e sbotta: “Vi ho scritti io!” si capisce quanto a fondo lui si sia calato nei recessi delle sue fantasticherie che a tratti si fanno oscure come un episodio di GHOST WHISPERER.

Per quanto la prosa di Mott sia eccezionale (mi sono segnata tantissimi passaggi!) ho trovato però la proposta del tema razziale troppo insistente e monocorde, e per questo devo necessariamente abbassare il mio voto complessivo.

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