L'ACCIAIO SOPRAVVIVE

 


Richard K. Morgan, Mondadori Oscar Vault

VOTO: 8.5



Dal sito https://serial-escape.com riporto la definizione di grimdark:


Per grimdark si intende quel genere di fiction in cui i personaggi sono lontani dai tipici eroi delle leggende o dell'heroic fantasy. I principali caratteri di questo genere sono il realismo, il cinismo e una descrizione cruda degli eventi – il che, aggiungo io, include anche un linguaggio volutamente scurrile.


L'ACCIAIO SOPRAVVIVE, primo libro della trilogia COSA RESTA DEGLI EROI. è un esempio perfetto di tutto questo e anzi, come dice la quarta di copertina, Richard K. Morgan si spinge ai limiti estremi, persino eccessivi qualche volta.

Però attenzione: ho usato apposta il termine “volutamente” perché l'autore si dimostra in grado di giocare bilanciando un turpiloquio molto spinto con momenti davvero poetici, soprattutto nelle descrizioni dei paesaggi.

Ci troviamo nell'Impero di Yhelteth con le sue mille complicazioni politiche e le sue sfaccettature etniche.

In effetti, uno dei temi centrali del fantasy – preso come genere in senso lato – è la diversità in rapporto a quello che chiameremmo colonialismo.

Nel territorio dell'Impero, così come nella vicina Lega, si sono susseguite le occupazioni militari di vari popoli e la mitologia locale sembra voler suggerire una sorta di scala evolutiva che ricorda la classificazione antropologica di Lewis Henry Morgan, secondo il quale era possibile individuare diversi “stadi” dell'evoluzione culturale umana.

In questo mondo abbiamo:

  • Gli Aldrain – detti anche Dwenda – un popolo avvolto nella leggenda, che pare scomparso da millenni, i cui membri erano capaci di incredibili magie.

  • I Kiriath, gente dalla pelle scura che ha raggiunto una conoscenza tecnica e scientifica più alta.

  • I Majak, un popolo nomade che vive nelle steppe fredde ed è diviso in tante tribù.

  • Nel mezzo ci sono gli abitanti delle città, burocrati e ladri (o più spesso entrambe le cose insieme).

E ciascun gruppo ha un vocabolo per indicare “gli uomini” che chiaramente comprende loro stessi escludendo gli altri


Il protagonista della storia è Ringil della nobile casata degli Eskiath. Ci viene da subito presentato come l'anti-eroe per eccellenza: la guerra contro il Popolo delle Squame – che qui rappresenta l'alieno o l'altro da sé, troppo diverso da qualsiasi tipo di comunità umana (sono a tutti gli effetti dei lucertoloni bipedi) – è finita da nove anni e lui ha come si suol dire appeso la spada al chiodo; ma sua madre lo richiama a casa per assolvere a una nuova missione, ossia riscattare la cugina caduta in schiavitù,

Sono molto interessanti le riflessioni sulla condizione di prigionia, che è considerata legale mentre altre cose – come ad esempio l'omosessualità – sono punite severamente da una legge simile all'inquisizione.

La violenza è connaturata alla nostra società anche quando non c'è una vera guerra da combattere. È una verità che trova la sua esplicitazione linguistica nel nome (falso?) di uno dei personaggi, il Dwenda chiamato Seethlaw: l'appellativo può essere interpreto come la crasi del verbo “to seethe” ovvero “ribollire di rabbia” e “law”, cioè “legge”. Ciò che appare evidente e che viene più volte ripetuto nel corso del romanzo è che la base istintuale non cambia anche se si modifica la patina superficiale (“A rose by any other name would smell as sweet” direbbe Shakespeare, ma nel mondo grimdark probabilmente la rosa sarebbe sostituita da qualcosa di più prosaico).

Quello della guerra permanente è un argomento che ritroviamo spesso nel grimdark, ad esempio nella trilogia de LA GUERRA DEI PAPAVERI di Rebecca Kuang, o nel nuovo libro di Jay Kristoff. E poi ci sono altri aspetti simili a L'IMPERO DEL VAMPIRO: ad esempio la comparsa di ghoul semi-umani chiamati “gli Smilzi”

Ringil somiglia a un rônin, un samurai senza padrone, catapultato improvvisamente in una nuova realtà cui non riesce ad adattarsi. Ringil ha molti punti in comune con Gabriel de Léon, protagonista del romanzo di Kristoff, anche se i rimandi diretti ammessi da Morgan sono piuttosto a Elric di Melniboné, il guerriero creato da Michael Moorcock. .

Ma vorrei analizzare ancora il concetto della violenza come sostrato taciuto dell'essere umano. Richard Morgan crea un parallelo tra le pulsioni bestiali e le sensazioni date dalla droga, e articola questa tesi in diversi modi.

In primo luogo, molti dei protagonisti – soprattutto Ringil e Archeth - fanno uso di sostanze stupefacenti persino in battaglia, il che ricorda le storie autentiche sui soldati dell'esercito americano, drogati per diventare macchine di morte insensibili al dolore e all'orrore. Come dice lo stesso Morgan a un certo punto “Il patriottismo si trova nei luoghi più strani”.

Ma un' altra interpretazione più sottile suggerisce che l'aggressività stessa e l'odore del sangue siano una sorta di droga che mette in circolo la adrenalina, e che la ricerca di questo stato mentale alterato sia innato e precedente a qualsiasi addestramento.

Questo è evidente nella scena in cui alcuni bambini tormentano un condannato. Mi ha fatto tornare in mente il romanzo LE RONDINI DI KABUL di Yasmina Khadra in cui i ragazzini assistono e partecipano alle esecuzioni ordinate dai Talebani. In realtà, questo paragone è possibile solo in virtù del fatto che molti regimi dittatoriali odierni hanno uno stampo che può sembrare medievale.


La diversità genera due reazioni diametralmente opposte: da un lato si può alimentare la paura che a sua volta giustifica la stereotipizzazione e la disumanizzazione del nemico; dall'altra si avrà l'adorazione che trasforma un intero popolo in una razza di dèi.

Come nella trilogia de LA GUERRA DEI PAPAVERI (e in particolare nel secondo libro, LA REPUBBLICA DEL DRAGO) il conflitto più accentuato è tra una nuova fede monoteista – la Rivelazione – e le antiche credenze politeiste.

Come nei poemi epici classici, gli dèi partecipano attivamente allo scontro manovrando gli umani. In questo caso però la questione è più complicata perché è spesso la mancanza di conoscenza a creare divinità e spettri laddove invece ci sono solo creature differenti, ma ci sono anche – di fatto – fenomeni che non si possono spiegare ed entità sovrannaturali che si aggirano tra i nomadi, utilizzando le loro capacità di muta-forma, con caratteristiche che ricordano un po' gli dèi di Neil Gaiman.

A tal proposito, mi ha molto colpita una riflessione dello sciamano Poltar, di una delle tribù majak: l'uomo afferma che dèi e demoni sono la stessa cosa, dipende solo dalla prospettiva dalla quale li guardiamo noi uomini. Trovo che sia un'argomentazione molto profonda per un individuo la cui moralità è alquanto discutibile (come lo è quella di tutti, in questa storia: esattamente come nella vita vera, non ci sono presone del tutto buone o del tutto cattive).

Inoltre Morgan mostra anche una certa rappresentatività di genere, includendo nella vicenda varie inclinazioni e preferenze sessuali. Non mi è chiaro se questa scelta sia stata del tutto naturale o piuttosto dettata da un certo trend del momento, considerando che il romanzo originale è del 2008.


La parte migliore di L'ACCIAIO SOPRAVVIVE è la descrizione dei Luoghi Grigi, territorio degli Aldrain / Dwenda. Questi posti normalmente invisibili agli esseri umani, vengono chiamati anche Regno senza Età perché lì il tempo non conta, o comunque ha un valore diverso. Non bisogna pensare a una favola alla URASHIMATA, in cui un ragazzo viene portato in un palazzo sottomarino solo per tornare sulla Terra invecchiato e dopo secoli. Nel Regno senza Età si verificano contemporaneamente tutte le possibilità (a livello quantistico, potremmo dire), come in una sorta di sliding doors che avvenga in simultanea. Si tratta di qualcosa di davvero difficile da gestire a livello di spiegazione concettuale e resa ma Morgan ci riesce benissimo dimostrando padronanza delle strutture espositive e originalità.

Anche la caratterizzazione dei Dwenda è particolare e ben riuscita: se dovessimo definire il romanzo parafrasando il titolo di un famoso film, io direi “Belli, sporchi e cattivi”. L'autore infatti, proprio come è tipico del grimdark, non ci risparmia nulla né sul campo di battaglia né in camera da letto, ma non dimentica mai di rimarcare la bellezza un po' decadente dei protagonisti – soprattutto per quanto riguarda Ringil Occhi d'Angelo e il Dwenda Seethlaw. Le fattezze del popolo Aldrain ricordano un po' gli elfi di Tolkien ma teniamo presente che siamo immersi in un tipo di fantasy completamente diverso: lo si capisce subito quando si legge la scena delle teste-albero, che strizza l'occhio allo scrittore de IL SIGNORE DEGLI ANELLI ribaltandone però il punto di vista, usando una chiave di lettura che è più vicina a Tim Burton o addirittura a un manga disturbante come MPD PSYCHO di Eiji Ôtsuka.


Quello di Morgan è un romanzo godibile, scorrevole, veloce e brutale. Le scene di battaglia sono incalzanti, tanto che viene voglia di leggere a rotta di collo per seguirne in maniera cinematografica le dinamiche. L'unico aspetto che non ho apprezzato del tutto è la ripartizione della narrazione in tre parti intercalate: ci sono capitoli dedicati a Ringil, poi a Egar il Majak e quindi ad Archeth la Kiriath, che si trova alla Corte imperiale. Solo alla fine, la storia si riunisce in un flusso unico e forse era il solo modo di raccontarla, ma trovo che saltare da uno scenario all'altro abbia tolto un po' di mordente.


Se di solito riservo un applauso alle edizioni Oscar Vault, questa volta invece devo essere critica, sia per quanto riguarda la traduzione e i molteplici refusi, sia per la qualità dell'oggetto-libro. Mi spiego: innanzitutto si tratta di un'edizione flessibile standard (niente sovra-copertina o pagine con i bordi colorati) e poi, forse per sfortuna mia, la copia che ho acquistato dentro era rovinata in più punti come se qualcuno avesse bagnato la carta e poi strofinato la superficie facendo venir fuori dei pallini di cellulosa.

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