LA DEA IN FIAMME

 

R.F. Kuang, Mondadori Oscar Vault

VOTO: 9

Il terzo libro è quello dove i giochi si chiudono.

Rin ha combattuto per tutta la vita. Prima contro la Federazione, poi per la Repubblica. E ora cerca di buttar giù proprio quel governo che ha contribuito a creare e che di “Repubblica” ha solo il nome. In realtà Vaisra e poi suo figlio Nezha hanno preso quasi completamente le redini del nord del Paese e Rin con il suo manipolo di soldati rappresenta l'ultimo baluardo di libertà nel sud. Lei è ormai diventata leggenda: l'ultima speerliana, il tramite della Fenice. Ma tutti sanno – e Rin per prima – che la dea esige un prezzo per il potere che conferisce, e questo scotto equivale a una distruzione sempre maggiore. Grazie a un complesso procedimento sciamanico che deve restare segreto, Rin sviluppa un legame speciale con Kitay e questo le consente di non impazzire del tutto – come invece è successo ad altri, murati vivi nella prigione di pietra di Chuluu Korikh – ma è destinata comunque a perdere una parte della sua umanità.

Il punto di forza di questo terzo capitolo della saga di POPPY WAR,  LA DEA IN FIAMME, è la definizione articolata del rapporto tra i personaggi, in primis quello tra Rin e Kitay che per tutto il libro restano solo ed esclusivamente amici, senza che questo sfoci in altro. La possibilità di un'amicizia profonda tra uomo e donna senza altre implicazioni mi è sembrata una scelta coraggiosa da parte dell'autrice, dato che non si vede quasi mai nei libri o nelle serie; come ho trovato inconsueta la scelta di una protagonista forte come una sorta di Mulan,  ma dichiaratamente non bella. Più difficile è definire la relazione tra Rin e Nezha perché i due si trovano ai lati opposti della barricata e Nezha deve scegliere tra i sentimenti personali e il dovere patriottico; contemporaneamente il ragazzo affronta un difficile dilemma interiore perché si trova ad essere ciò che non vuole, ciò che lui stesso ripudia e ad essere maltrattato per questo. Certo, in un universo fantasy questa lacerazione si declina nel regno del sovrannaturale ma può essere letta come metafora di qualsiasi tormento per l'accettazione di sé. Nezha prova un dolore che è acuito dalla consapevolezza che è stato il padre a causarlo di proposito. Quindi la classica diade padre / figlio – dove Nezha è l'ultimo erede maschio della casata e sente su di sé tutto il peso di questo ruolo, quando i fratelli prediletti muoiono uno dopo l'altro in maniera cruenta – è uno degli snodi del romanzo. Ho usato volontariamente la parola “cruenta” per sottolineare che in LA DEA IN FIAMME la componente grimdark, accennata negli altri libri della trilogia, è molto più marcata – forse in virtù del fatto che Rin, come dicevo, sta perdendo la propria umana compassione in favore della cieca distruzione voluta dalla Fenice.

Dal punto di vista stilistico però, la violenza è sempre ben dosata e stemperata con una certa eleganza, anche se non manca il turpiloquio tipico del genere.

Parlando ancora della sete di potere che pervade la protagonista, la dinamica di escalation è molto chiara e mostra come sia facile cedere alla smania e alla paranoia in un Paese che, prima ancora di combattere i nemici esterni, si trova dilaniato dalla carestia e dalla guerra civile.

Ovviamente, anche se io non sono una sinologa, è semplice vedere in questa trama la rielaborazione fantastica della Storia della Cina, un'immensa nazione spezzata al suo interno, con pesanti divari tra nord e sud.

E a tal proposito, avrei voluto una digressione più ampia su Chaghan, lo sciamano delle tribù nomadi delle Terre Interne che avevamo lasciato con una nuova missione alla fine del secondo libro e che adesso torna, ma solo brevemente quasi in un cammeo.

Ancora una volta, in questo terzo libro della trilogia, il nemico esterno sono gli stranieri esperiani. I “demoni con gli occhi azzurri” - che fuor di metafora rappresentano chiaramente l'Occidente – sono venuti nel Nikan con la convinzione di civilizzare una popolazione barbara e arretrata, portando non solo il credo monoteista in un unico Architetto, ma soprattutto una sorprendente tecnologia. Nel secondo libro (LA REPUBBLICA DEL DRAGO) avevamo incontrato la spietata persecuzione religiosa della Grigia Compagnia. Qui invece si capisce come gli stranieri abbiano abdicato la loro spiritualità in favore del progresso scientifico. È così che i nikariani stessi si persuadono di essere inferiori e molti accolgono passivamente gli invasori. È un'ottima descrizione disincantata del processo sociologico di sudditanza che si risolve nel testo con dei meravigliosi tocchi steampunk che mettono in campo, sulle strade e nei cieli della Città Nuova, aeronavi, droni e macchine a vapore. Ma i nikariani sono davvero così stupidi e manipolabili? E quale delle due visioni del mondo è corretta?

Ci vengono finalmente svelati frammenti del passato, quando la Triade governava il Paese con il pugno di ferro e la follia dello sconfinato potere degli dèi. Si spiega anche qualcosa in più sul Pantheon, ossia il mondo invisibile oltre il nostro. Daji, Jiang e Riga sono personaggi indimenticabili e avrei voluto vederli di più in azione ma, mentre Jiang è l'esemplificazione della lotta contro le forze oscure, Riga è irrecuperabilmente corrotto e le parti in cui Jiang combatte la sua battaglia privata, profondamente scisso, sono forse la parte migliore del romanzo.

Ho apprezzato moltissimo il finale, per nulla scontato o mieloso, che tocca vette di scrittura molto alte.

Nel complesso quindi LA DEA IN FIAMME è un'ottima conclusione per la storia de LA GUERRA DEI PAPAVERI. Unico appunto negativo ma assolutamente soggettivo: mi è parso che nel corso della narrazione ci fossero troppe battaglie, con il risultato che i combattimenti perdevano un po' di mordente, ma forse questo è stato funzionale al concetto esplicitato ad un certo punto, e cioè che esiste una simmetria (o se vogliamo una circolarità) tra presente e passato.

In fondo al volume – di cui devo come al solito lodare la veste grafica (le pagine bordate di viola!) – troviamo anche la breve novella L'ABISSO DELLA FEDE, cioè tre diversi momenti della storia principale rivisti dal punto di vista di Nezha. Anche qui l'esecuzione stilistica è davvero eccellente, ma forse io avrei preferito che quei paragrafi fossero inseriti nel corpo del racconto piuttosto che raccolti alla fine separatamente.

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