L'UOMO CHE AVEVA VISTO TUTTO

 



Deborah Levy, NN Editore

VOTO: 8.5

Come dice Saul Adler, il protagonista del libro, L'UOMO CHE AVEVA VISTO TUTTO è una storia che mescola presente e passato su diversi piani temporali, con spazi e orari malleabili.

Saul viene investito sulle famose strisce pedonali di Abbey Road a Londra, quelle che i Beatles attraversarono per la copertina dell'omonimo disco Sembra illeso ma non è così

 Solo dopo scopriamo che da quel momento trascorre diversi giorni in ospedale e i ricordi di una vita passata gli scorrono davanti e si ricompongono, come i frammenti dello specchietto dell'auto che gli sono rimasti conficcati in testa.

Rivive un'estate della sua giovinezza, nel 1988, quando – dopo una proposta di matrimonio rifiutata dalla sua ragazza – parte per Berlino Est per scrivere un saggio sulla resistenza culturale al nazismo prima della guerra e un articolo sul miracolo economico comunista.

La macro-Storia si mischia con l'esperienza personale: il controllo esasperato della Stasi è equiparato all'ossessione fotografica della sua ragazza per il corpo di lui, che è un ragazzo meravigliosamente bello. Lei non l'ha mai visto per ciò che lui era in realtà, ma solo attraverso la lente dell'obbiettivo, però – dice Jennifer Moreau – quello era l'unico modo per avvicinarsi davvero a lui, così freddo e distaccato. Più che algido, appare solo e spaventato (“un uomo a pezzi”, come si intitola una delle foto scattate da Jennifer). Gioca con la sua sessualità e fa sembrare l'amore qualcosa di tenero e sexy, ma soltanto perché ha questa bellezza speciale che è un dono effimero e una maledizione che non lo rende mai del tutto libero di esprimersi; una perfezione femminea e gender fluid che ha fatto sì che da bambino venisse continuamente vessato da un padre e da un fratello mostruosi, stupidi e tirannici, persone che semplicemente nel m capivano la sua diversità. La vera crudeltà sta nel modo sensuale e ludico in cui Saul manifesta i suoi sentimenti: nella RDT si innamora di Walter e comincia con lui una relazione ambigua perché il ragazzo deve condurre una doppia vita e non far scoprire la sua omosessualità; al contempo però, Saul ha una serie di altre avventure, anche con la sorella di Walter – Luna – che desidera fortemente scappare oltre il muro per poter viaggiare ed essere libera. Lei scaccia la paura ballando ma ha sviluppato mille piccole fobie e idiosincrasie: dice di vedere una giaguaro aggirarsi nella compagna tedesca ma si capisce solo dopo che è u un riferimento alla Jaguar che ha investito Saul nel presente, non nel 1988 ma nel 2016: il muro è caduto siamo nell'epoca della Brexit. Tutti i protagonisti hanno vissuto esperienze tragiche, momenti di alti e bassi, e ora sembrano assestati nella banalità (la banalità che sconfigge, che fa male e rende stanchi).

In realtà l'intero libro è fatto di elementi che si compenetrano sulle due linee cronologiche (l'ananas in scatola, lo chignon bianco che caratterizza alternativamente Luna e poi Jack – il nuovo uomo di Saul nel presente...).

Ogni particolare aleggia come uno spettro, detto e fuori la mente confusa, e ancora una volta avviene la compenetrazione tra globale e privato: lo spettro politico preconizzato da Marx è come quei fantasmi corporei che aleggiano nei ricordi e nella camera di Saul.  Il gap si colma quando il protagonista si rende conto di essere invecchiato, risucchiato in un vortice, come se gli ultimi trent'anni fossero volati senza lasciare tracce se non sul fisico, che ormai lui non riconosce. Molte possibilità sono sfumate: poteva essere padre ma non lo è stato; poteva essere un marito o almeno un fidanzato migliore; poteva vivere con Walter in un cottage nel Suffolk (anche se non si è curato di chiedergli cosa volesse lui davvero e, così facendo, lo ha messo in pericolo). A questo punto, Saul si domanda se vale la pena di volere questa vita incompiuta, si domanda cosa si merita lui veramente.

Anche Jennifer – che era talmente bella che, per un tacito accordo tra loro due, non poteva essere descritta a parole – è sfiorita ed è lei a colmare i vuoti di memoria, sia raccontando episodi di quel tempo trascorso, sia disegnando le visioni che Saul le descrive dal letto di ospedale.

In questo romanzo di Deborah Levy tutti i personaggi – anche quelli secondari – sono profondi e interessanti e ogni piccolo dettaglio è importante per costruire il puzzle. Tutti hanno una sorta di doppio nel sogno di Saul indotto dalla morfina, come se il muro non fosse solo una struttura reale e tangibile, ma piuttosto una soglia di coscienza da attraversare, dove le cose sono al contempo vivide e non ben delineate

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