I FILI ROSSI DELLA FORTUNA

   





Neon Yang, Mondadori

VOTO 10


I FILI ROSSI DELLA FORTUNA è il secondo libro della tetralogia del Tensorato di Neon Yang. Come nel precedente LE MAREE NERE DEL CIELO, lo stile è lirico e delicato con analogie e metafore che sfiorano la poesia e sono originalissime.

Torniamo un attimo agli eventi del primo libro.

I protagonisti sono due gemelli, una ragazza e un ragazzo: Mokoya scopre fin dall'infanzia di avere il dono (o la maledizione?) della profezia; suo fratello Akeha crescendo si unisce alla rivolta dei Macchinisti contro il Protettorato, che promuove un sistema basato sulla magia chiamata slascienza. In FILI ROSSI il sistema magico viene spiegato un po' più approfonditamente: “La Slasca non era divisa soltanto in cinque Elementi – quello era il modo di pensare del Tensorato – ma era infinitamente malleabile, non un drappo che copriva il mondo, bensì parte integrante di esso, inseparabile dagli oggetti che governava, molto più onnicomprensiva di quanto il Primo Sutra suggeriva”.  Si intuisce quindi un sostrato spirituale che unisce l'Uomo alla Natura in un unico circolo. Dunque la Slasca inventata da Neon Yang è qualcosa di simile al qi cinese (ki in giapponese) o al mana delle culture oceaniche. La descrizione metafisica di questi flussi di energia che sembrano cantare mentre il tensore canta in risposta sono una delle parti più struggenti del romanzo, vicine nel linguaggio alla poesia cinese classica.

Nel corso del libro Mokoya – che qui diventa indiscussa protagonista – impara a piegare e manipolare questa corrente secondo una logica nuova e, grazie agli insegnamenti della su* amic* Rider, apprende anche la tecnica per spostarsi un punto all'altro quasi come con il teletrasporto; e scopre anche come la Slasca possa legare l'anima delle persone a cose o animali con un processo alchemico simile alla creazione delle chimere.

La figura di Rider è molto interessante: si tratta di un* stranier* che viene dalla regione chiamata Quarterre, oltre il mare di Demoni, e cavalca una sorta di drago. Neon Yang tratteggia la sua disabilità con molto tatto, esattamente come Jay Kristoff ed Amie Kaufman fanno nella trilogia ARORA CYCLE con il personaggio di Fin: anche la malattia è la stessa, cioè una sorta di fragilità ossea.

Al di là degli accenti steampunk usati per parlare della ribellione dei Macchinisti, che vorrebbero utilizzare congegni a vapore al posto di quelli azionati dalla slascienza, I FILI ROSSI ruota intorno al dolore della perdita. Infatti la bambina di Mokoya è morta in un incidente e lei non riesce ad andare avanti, nonostante siano passati cinque anni. Il marito di Mokoya – che lei ha lasciato dopo la morte della piccola – le dice: “ So che vaghi con questa lastra di vetro che ti separa dal mondo. Dovrai romperla a un certo punto”; e la leva per spezzarla è Rider che apre una breccia nel cuore della protagonista. Non è chiaro se sia un rapporto saffico perché in questo mondo fantasy esiste il genere neutro ed è proprio così che si identifica Rider, con quel pronome che gli anglofoni traspongono con “they” e noi italiani traduciamo con una scomodissima schwa o un asterisco alla fine della parola.

La relazione tra Mokoya e l* cavalier* di rettili è dolcissima e funge da balsamo per le ferite della protagonista, che mostra le sue emozioni attraverso la pelle del suo braccio cangiante.

In un certo senso è questo nuovo legame che spiega il titolo del libro perché sono i fili rossi della fortuna a tessere il disegno della realtà, a volte con crudeltà ma la ma più spesso con indifferenza. Così, oltre ai cinque Elementi, Mokoya ne trova un sesto - il "naturtempo" - che può essere piegato e sottomesso attraverso una teoria molto simile alla quantistica dei multiversi.


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