L'IMPERO DEL VAMPIRO

 


Jay Kristoff, Mondandori Oscar Vault

VOTO: 9.5

Eccolo qua, il libro che ha generato più hype nell’ultimo anni. Sì, abbiamo atteso tantissimo per leggere L’IMPERO DEL VAMPIRO – primo di una nuova trilogia – ma finalmente siamo stati ricompensati, e con un’edizione spettacolare ( double cover che riproduce l’immagine della copertina inglese sul davanti e quella della copertina americana sul retro bordi rosso scuro, il simbolo della stella a sette punte sbalzato sulla parte rigida, due mappe, disegni all’interno …).



Prima di fare un po’ di analisi, vi racconto la trama di questo parto di Jay Kristoff:

Sono passati ventisette anni dall’inizio di una notte senza fine (il sine die) e i vampiri scorrazzano liberi e indisturbati, capeggiati dal Re Sempiterno Fabién Voss. A opporsi ai Morti c’è l’Ordine d’Argento, un gruppo di iniziati che sfrutta la fede e l’argento per distruggere i succhia-sangue. Ma non si tratta di uomini normali: gli adepti dell’Ordine sono sanguepallido, cioè per metà vampiri nati da un peccato.

Ovviamente la questione si complica perché non è chiaro a quale stirpe di vampiri appartenga il protagonista: ne sono state individuate quattro, con diversi “doni del sangue” ma Gabriel sembra non essere di nessuna di queste. Inoltre si viene a creare una vera e propria faida sanguinosa tra il nostro (anti) eroe e il signore dei vampiri.


La storia rimanda a molti classici del manga, primo fra tutti HELLSING di Kôta Hirano, in cui il vampiro Alucard è al servizio del Royal Knights of Protestant Order.

Effettivamente, la religione descritta da Kristoff riecheggia molto da vicino quella cristiana, sia nella mitologia che nella numerologia adottata, e mi sono stupita che il libro non sia stato messo all’indice!

Come mi piace sottolineare, questo romanzo è grimdark puro: molto grim e molto, molto dark.

Quindi gli ingredienti del genere ci sono tutti: una compagnia che combatte il male, tanta violenza, scene cruente e un diluvio di parolacce e oscenità varie.

E se è vero che il grimdark è stato definito “l’anti-Tolkien” qui troviamo alcuni elementi che ce lo confermano, primo fra tutti la mostruosa foresta semovente infettata dalla Piaga. C'è poi il castello di Aveléne che non è anti-Tolkien ma anti-Disney, come si evince dalle splendide immagini di Bon Orthwick e Kerby Rosanes che corredano il romanzo (in Italia è stato stampato anche un meraviglioso artbook a colori a parte).




In realtà il libro è diviso in macro-capitoli che operano salti temporali (non sempre ben riusciti), raccontando l’apprendistato del protagonista Gabriel de León e mescolandolo la sua successiva partecipazione alla spedizione in difesa del Graal (attribuito ovviamente non a Gesù come lo conosciamo, ma a un Redentore morto torturato sulla ruota e alla sua santa martire Michon).



La prima parte si sviluppa dal tema della scuola di addestramento per dipanarsi poi in quelle che vengono chiamate Cacce; la seconda (con lo strano gruppo del Graal) rimanda a LA COMPAGNIA NERA di Glen Cook, pietra miliare del filone grimdark, con una strizzatina d’occhio a George R. R. Martin (“L’inverno profondo sta per arrivare”) e persino a Nietzsche (“Se passiamo tutta la vita nell’oscurità, c’è da meravigliarsi quando l’oscurità comincia a vivere in noi?”).

Tuttavia da brava otaku, io ho notato similitudini con molti manga o anime come ad esempio D-GRAY MAN (uno dei miei preferiti in assoluto) e BLUE EXORCIST – per il tema del mezzosangue demoniaco e dell’Accademia; IL CLAN DEI POE della sensei Moto Hagio per la caratterizzazione shôjo / dark di alcuni personaggi; o la bomba mainstream del momento: DEMON SLAYER – qui non posso dire niente di più per non fare spoiler!


Il fulcro del romanzo è una riflessione: “Dal peccato poteva venire il bene?”. Sotto questo cappello concettuale, l’autore affronta un tema a lui molto congeniale e cioè quello dell’amore in ogni sua possibile combinazione. Gabriel si innamora di Astrid, Aaron di Baptiste, Dior di Saoirse e non c’è niente di sbagliato in questo. Ne deriva la seconda considerazione, cioè quella sulla presunta amorevolezza di un dio che ti induce a sbagliare (“Mi domandai se Dio ci amava, come poteva odiare che trovassimo amore noi stessi. Come poteva permettere che tali sofferenze non ottenessero risposta, Come aveva potuto ritenere saggio creare un mondo che ospitava orrori del genere”) .

Questo genere di scrittura certo scoccherà i credenti perché il protagonista è un cinico (“Meglio essere un bastardo che uno sciocco”) che non si fa problemi a bestemmiare, ma io ho sentito sul fondo un richiamo a Prévert che già scriveva: “Padre Nostro che sei nei Cieli / Restaci pure”.

Gabriel si aggrappa al dolore come unica forza: “quello spaventoso tipo di dolore che non puoi sperare di sopportare, tranne per il vuoto che lascerebbe se te lo lasciassi alle spalle”; “Quel dolore che [ti] fa capire di essere ancora vivo”. Come dice la canzone VERSE, CHORUS, VERSE dei Nirvana (figurarsi se non li citavo in qualche modo!): “ You’re the reason I feel pain / Feel so good to feel again” - e nel nostro caso “You” è Astrid, anche se in realtà i riferimenti musicali dello Zio Jay sono orientati verso un certo tipo di metal basso, cupo e violento piuttosto che verso l’area grunge-punk (vedi la playlist di EMPIRE OF THE VAMPIRE su Spotify e l'esergo all'inizio del libro).


 Parlando di vampiri – ossia creature che si considerano immortali ma immortali non sono, e che quindi temono la fine più di chiunque  – un altro tema centrale del romanzo è la Morte, che viene trattata con accenti foscoliani (“Non piangiamo per quelli che ci hanno lasciato, bensì per noi che rimaniamo”)


Al netto del turpiloquio che – come ho detto – fa parte di uno stilema ben preciso, Kristoff ci regala descrizioni poetiche del paesaggio morente e momenti di scrittura altissimi (ad esempio il capitolo intitolato IL GIORNO PEGGIORE è formalmente perfetto). A questo proposito, due parole vanno spese anche per l’ottimo world building, che mischia suggestioni francesi da ancien régime con alcune tradizioni e termini che sembrano presi dai miti celtici, a partire dai personaggi: Saoirse indossa un kilt e, seppure descritta come una donna mascolina, per quanto riguarda il fenotipo è inevitabile raffigurarla come Saoirse Ronan! Kristoff poi è bravissimo ( e il traduttore Gabriele Giorgi con lui) a creare diversi modi di parlare particolari  sia per i personaggi provenienti dalle cinque regioni dell’impero di Elidean sia per i vampiri, oltre a inventare elementi di vere e proprie lingue morte, come si confà ad ogni buon fantasy.


Ho apprezzato molto il cosiddetto narratore interno: Gabriel racconta direttamente la propria storia in prima persona mentre si trova in una torre e spiega tutto allo storico / vampiro Jean François de Chastain.

 Questo espediente, oltre a rimandare indietro ad esempi illustri come il lungo monologo di Ulisse alla corte di Alcinoo, permette all’autore di riflettere su un altro punto cardine della sua stessa poetica: l’importanza di narrare storie e la bellezza dei libri.

Innanzitutto c’è la dicotomia tra vivere e raccontare che si ricuce in una sorta di ammissione della soluzione trovata da García Márquez, cioè vivir para contarla”. Il maestro Manogrigia, mentore di Gabriel, dice: “La vita non è una storia che puoi raccontare, de León. È solo una che puoi vivere” e più oltre si afferma che si può decidere se vivere come un uomo o come un mostro. Ma la cronaca non ha valore solo in quanto narrazione attiva ma anche come oggetto-libro. 

La biblioteca dell’Abazia di Santa Michon ha il suo rovescio nel laboratorio della strega / spacciatrice Souris ma è anche lo specchio di quella che avevamo esplorato nella Chiesa Rossa di NEVERNIGHT e la frase “Una vita senza libri è una vita non vissuta” è la continuazione ideale di “Troppi libri e troppi pochi secoli”, motto che avevamo trovato in MAI DIMENTICARE – primo libro della trilogia più nota di Kristoff. Ma il rimando a NEVERNIGHT non finisce qui ed è macroscopico se si pensa che il sine die è l’opposto logico dell’Illuminotte (in cui i tre soli non calavano mai se non nel periodo di Verobuio).


In L'IMPERO DEL VAMPIRO i personaggi sono costruiti benissimo e sempre coerenti con se stessi, con una psicologia molto approfondita, e anche i particolari riguardanti il paesaggio tornano alla perfezione. Ogni azione di Gabriel è spiegata e chiara ed è bellissimo il suo rapporto con Dior che mi ha ricordato un po’ il film L’ESTATE DI KIKUJIRÔ di Takeshi Kitano per la differenza di età di due persone che si trovano loro malgrado a condividere un viaggio importante. Anche la relazione tra Gabriel e Aaron si sviluppa lentamente, in maniera credibile; mentre le storie d’amore – con scene erotiche molto intense – sono davvero coinvolgenti e toccanti. Infine, l'effetto delle droghe - che ricorda la trilogia di  THE POPPY WAR di R.F. Kuang - è molto realistico.

Proprio come si notava già in AURORA BURNING, un altro punto forte di Kristoff sono le battaglie trascinanti e verosimili (per quanto in questo libro si insista forse un po’ troppo sull’invulnerabilità dei sanguepallido). Sempre parlando dei personaggi, c’è un’altra similitudine con l’AURORA CYCLE: la spada telepatica Bevicenere, che riprende in chiave più oscura il mito di Excalibur (detta anche “La Spada che Canta”), ha alcuni aspetti in comune con il dispositivo elettronico Magellano di Aurora, che viene continuamente zittito. ‘Cenere però, da quando si è rotta, balbetta ricordando un po’ la Intelligenza Artificiale Poe in ALTERED CARBON che, proprio come nel nostro caso, è il vicario del protagonista ed è in qualche modo danneggiato e fallace.


In conclusione L’IMPERO DEL VAMPIRO è un ottimo inizio che fa da preludio a un’avventura che si preannuncia succosa e piena di colpi di scena. Come in molti grandi classici della letteratura, la narrazione avviene in una sola notte ( con l'aiuto di ben quattro bottiglie di vino!) e quindi è chiaro che l’autore lascia volontariamente diverse questioni in sospeso.

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