I QUADERNI BOTANICI DI MADAME LUCIE

 




 
 Mélissa da Costa, Rizzoli

VOTO: 6.5


I QUADERNI BOTANICI DI MADAME LUCIE sarà oggetto del prossimo book club dei Mangiatori di Libri presso il Librificio del Borgo di Genova quindi, come spesso accade con i circoli di lettura, mi sono ritrovata a leggerlo mio malgrado ed ostacolata – lo ammetto – di qualche pregiudizio.

Preciso che il mio “pre-giudizio” è rimasto invariato anche dopo aver finito il libro e perciò mi viene da pensare che non fosse del tutto infondato.

Mi spiego meglio: ho come l’impressione che, da quando si è verificato il grande successo editoriale di Valérie Perrin, il mercato abbia fame di queste nuove scrittrici francesi fatte un po’ con lo stampino,

Non ho ancora letto NON C’È ROSA SENZA SPINE di Aurélie Valognes LA DANZA DEGLI AMORI SENZA TEMPO di Anne Gaëlle-Houn, ma le trame mi sembrano molto simili tra loro, la risposta europea a un’ondata di libri ottimistici provenienti dal Sol Levante.

I QUADERNI BOTANICI sono comunque una lettura piacevole, davvero scorrevole (l’ho divorato in tre giorni) e non posso dire che lo stile di scrittura sia brutto, solo che… non colpisce.

Provo a raccontare la storia senza fare spoiler: una donna di trentanni perde il marito (Benjamin) in un incidente e per lo shock le muore anche la bambina che lei aveva in grembo. Distrutta, Amande si prende un anno di aspettativa non retribuita a si trasferisce da Lione alla campagna dell’Auvegne  (Alvernia in italiano). Nella vecchia casa che prende in affitto trova le agende e i quaderni della vecchia proprietaria (cioè della “Madame Lucie” del titolo), che aveva iniziato ad annotare tutte le sue piccole attività per superare a sua volta un lutto.

Non mi inoltro nel descrivere le maniere creative e un po’ hippie che Amande inventa per occupare le giornate. Si tratta di un lento cammino che non porta più alla normalità di prima – perché la protagonista viene considerata un po’ eccentrica – ma è comunque un percorso di guarigione.

Parlando degli ortaggi che danno i loro frutti, dei fiori che rispuntano a primavera, degli uccellini che fanno il nido e infine della nipotina di Amande, nata in casa Luzin a circa sei mesi dalla tragedia, Mélissa da Costa rappresenta molto apertamente la vita che continua e, se questo voleva essere incoraggiante, tipo “think positive”, a me ha dato un gran fastidio. Per fortuna non si tocca l’apice dell’aberrazione perché Amande non segue il consiglio spassionato di riaccasarsi elargito della sua amica Julie – figlia dell’ex proprietaria.

L’impianto generale non regge per i miei gusti ma alcuni aspetti mi sono piaciuti: innanzitutto i modi personali di Amande di affrontare il lutto al di là della fede standardizzata e canonica (che invece costituisce un’ancora di salvezza per i suoi suoceri);

In secondo luogo i personaggi sono davvero ben caratterizzati. Mi sono piaciuti molto i ragazzi del Centro Educativo in cui lavorava Benjamin, anche se avrei lavorato di più sul senso di colpa provato da Issam e Mika.

Sono molto belli i flashback che ricostruiscono la vita di coppia dei coniugi Luzin e l’accenno alla realtà del Centro. Mi viene in mente un film francese, LA MÉLODIE di Rachid Hami in cui la musica diventa un mezzo di riscatto. E in effetti spesso è così, specie nella banlieu .

Il personaggio di Benjamin è vivo e presente, sia nei ricordi dei suoi amici e famigliari, sia nei dialoghi immaginari di Amande ed è forse questo l’aspetto che ho apprezzato di più essendo l’elemento che consente di non cadere in quell’errore che mi avrebbe fatto tirare il libro contro il muro.

Se non sbaglio nel libro TRE PIANI di Eshkol Nevo da cui Nanni Moretti ha tratto il film presentato a Cannes 2021, c’è anche una vedova che lascia messaggi in segreteria al marito defunto, raccontandogli i fatti della vita quotidiana.

La recensione trovata online parla poi di un “nuovo rapporto” ma non se ne specifica la natura.

Anche la protagonista di QUADERNI BOTANICI a un certo punto si prefigge l’obiettivo di condividere, e credo che questo non sia sbagliato. Per parafrasare una frase di Raphael Bob-Waksberg la solitudine è una terra desolata ( echi di T.S. Eliot?), per cui l’amicizia e la vicinanza – tangibili o meno che siano - sono le uniche vie di fuga

Al Far East Film Festival 2021 ho adorato il lungometraggio HOLD ME BACK di Akiko Ohku, storia di Mitsuko che dialoga con una sorta di “consulente interno” che lei chiama A (non un caro defunto ma una specie di amico immaginario) e che la aiuta a gestire le insicurezze, ma anche in questo caso il finale che cadeva nel rosa mi ha dato sui nervi.

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