SNOW CRASH

 


Neal Stephenson, Mondadori


VOTO: 7.5 quasi 8

La Snow Crash è una droga che attacca sia i computer che il cervello degli hacker o, per dirla in gergo cyberpunk, “sia l’hardware che il bioware”, ma chi ha creato questo nuovo stupefacente e perché?

Se lo chiede Hiro Protagonist (mai cognome fu più assurdo, ma mi immagino Neal Stephenson che spara lì qualcosa come gli Who o i The Band quando domandarono loro di trovarsi un nome da scrivere in cartellone. “Protagonist” è qualcosa di semplice e immediato, tipo nomen omen) uno spadaccino porta-pizze che lavora per la Mafia e contemporaneamente per la CIC (la nuova CIA).

Uno degli aspetti interessanti di SNOW CRASH è l’ambientazione, o meglio il world building: ci troviamo in un mondo distopico in cui non esistono più stati-nazione né leggi e dove tutto è governato in base al profitto e a enclave “franchising” . Anche la Mafia – gestita da Zio Enzo – è uno di questi marchi e amministra un enorme catena di pizzerie come attività di copertura (pizzerie che però devono essere efficienti al secondo!). Tra le altre organizzazioni parastatali ci sono Super Hong Kong di Mr. Lee e Le Porte del Paradiso del Reverendo Wayne (perché anche la fede è un business); gli Stati Uniti come li conosciamo si sono ridotti a un porzione minuscola di territorio chiamata Fedlandia, sede centrale dell’FBI.

Ed è qui che la storia di Hiro si intreccia a più riprese con quella di una ragazzina di quindici anni che fa il korriere – con la “K” - sullo skate: Y.T. diventa socia di Hiro nella ricerca di informazioni per la CIC – raccolte nella biblioteca digitale Infocalisse – ma è anche protetta di Zio Enzo e figlia di una donna che lavora come programmatore per i federali.

A complicare tutto arriva Raven – diminutivo anglicizzato (e reso figo) di Dimitri Ravinoff - che è il prototipo alfa dell’antagonista; il suo obbiettivo è niente meno che “nuclearizzare l’America” per motivi di vendetta personale che affondano le radici nella storia del padre. E qui Stephenson racconta una pagina di Storia quasi completamente dimenticata e per questo degna di essere riscoperta e approfondita: quella delle Isole Aleutine (che per chi non lo sapesse sono un arcipelago in Alaska). Ho apprezzato molto il modo in cui l’autore mescola il suo scenario cyberpunk post-moderno (figlio diretto ed estremizzato della Teoria dei Consumi) con episodi storici – conosciuti o meno.

Anche la spiegazione di che cosa sia la Snow Crash e di come sia derivata da una credenza sumerica e il collegamento con la neurolinguistica è davvero originale, però ho trovato un po’ noiose e contorte le spiegazioni che rimandavano alla mitologia dell’antico popolo mesopotamico.


I punti di forza del romanzo sono i personaggi e le scene, entrambi molto “visivi”.

Alcuni character design creati da Stephenson sono a mio avviso indimenticabili, come per esempio quello di Mr. Ng, capo di un’agenzia di sicurezza. Il suo avatar è un tranquillo vietnamita che vive nel Paese pre-bellico ma il suo aspetto reale è non- umano, ossia una serie di tubi attaccati ai computer dentro a un furgone.

I nomi sono davvero interessanti e nascondono degli enigmi.

Ad esempio Y.T. sta per Yours Truly - cosa che a me fa subito venire in mente YOURS TRULY, CELLOPHANE NOSE, EP di Beth Jeans Houghton, anche se ovviamente non c’entra niente perché il libro è stato scritto nel 1992;

Raven a un che di mutante e demoniaco e il suo nome richiama facilmente il poema di Edgar Allan Poe.

In effetti ho notato diversi punti di contatto tra SNOW CRASH e ALTERED CARBON (a.k.a. BAY CITY): qui uno dei personaggi è una I.A. di nome Poe che gestisce un hotel chiamato appunto The Raven. Se dovessi cercare un personaggio simile all’interno di SNOW CRASH – tanto per portare avanti l’analogia – punterei il dito sul Bibliotecario virtuale che presiede l’ex Biblioteca del Congresso. Questa entità tecnologica ricorda un po’ anche Jericho Jones in THE DIVINERS di Libba Bray, anche se in questo caso ci troviamo in un’altra epoca e con altre premesse culturali. Ma tornando a BAY CITY di Morgan, ci sono somiglianze anche nei frequenti richiami nipponici e nella parte finale dei due romanzi, perché in uno ci troviamo su un assembramento marittimo chiamato Raft – Zattera – mentre nell’altro la scena clou si svolge in un mega-costrutto volante chiamato Testa tra le Nuvole

Per quanto riguarda gli avvenimenti descritti, alcuni sono molto cruenti ma estremamente cinematografici, e il richiamo alle arti di combattimento orientali non fa che aumentare l’impatto sul lettore.

Come in qualsiasi libro cyberpunk che si rispetti, buona parte dell’azione si svolge nello spazio di internet – qui chiamato Metaverso - e in uno spazio liminale a due dimensioni chiamato Flatlandia, in apparente omaggio al racconto lungo di Edwin Abbott Abbott.

 Ci sono abbondanti descrizioni su come funziona questo mondo virtuale e come in esso si muovono gli avatar. Nel Metaverso ci sono locali, case e porti, tutti collegati dalla Strada (bisogna di nuovo ricordare l’anno in cui è stato scritto il romanzo).

Devo ammettere che, per mia comodità di lettura, non ho utilizzato il file che mi ha inviato Mondadori ma uno singolo, per cui non so se le seguenti considerazioni siano valide anche per il tomo di nuova pubblicazione, ma devo lasciare un paio di appunti (purtroppo negativi ) sulla traduzione: innanzitutto la katana in italiano è femminile, probabilmente perché viene considerata una spada.

E poi il traduttore della mia edizione doveva essere di Milano perché si trovano parole tipo “sbarbina” o addirittura “Uè”!

Poi il termine “franculato” per “franchising” mi pare un neologismo che francamente suona malissimo.

Comunque SNOW CRASH è un libro dinamico e costruito in maniera non banale.


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