PROMESSE



Bryan Washington, NN Editore

VOTO: 8 

Mike è un nikkei – cioè un nippo-americano di seconda generazione - che vive a Houston e fa il cuoco presso una taquería messicana.

Dopo una burrascosa sequenza di storie occasionali, va a vivere col suo ragazzo Ben, un nero che lavora in un dopo-scuola per bambini.

Stanno insieme ormai da un paio d’anni quando il padre di Mike, che vive in Giappone, si ammala gravemente di cancro e lui decide di andare a Ôsaka ad assisterlo e aiutarlo col bar che l’uomo ha avviato;

ma, proprio quando Mike parte per il Sol Levante, sua madre arriva in Texas e così la donna si ritrova a convivere col fidanzato di suo figlio mentre Mike, dall’altra parte dell’Oceano, cerca di recuperare il rapporto con un padre che non vede da anni.

Nel libro di Bryan Washington viene rappresentata la diversità a più livelli: i protagonisti sono gay, uno nero e l’altro asiatico e vivono in un quartiere multietnico.

I punti focali della narrazione sono due:


  • Il rapporto generazionale, che implica anche le maniere in cui viene o non viene accettata l’omosessualità.

  • Il rapporto di coppia.


Parlando del primo aspetto, le relazioni sono stratificate e complesse: c’è quella tra Mike e il padre, fatta di amore ma anche di recriminazioni e sensi di colpa; quello tra Ben e la “suocera” Mitsuko che sfocia in un quieto affetto di routine quotidiana; quella tra Mike e la madre (perché lui se ne va proprio quando lei è in città per vederlo?); e infine quello tra Ben e la sua famiglia, una famiglia in parte divisa e disomogenea in cui il ragazzo si sente un outsider (“When I was an alien, cultures weren’t opions” cantavano i Nirvana).

Marginalmente poi viene raccontata anche la storia di Ahmed, uno dei bambini del centro dove lavora Ben: il ragazzino (di chiare origini arabe) ha preso male la separazione dei genitori e vive con il fratello Omar.


Soffermandosi invece su secondo aspetto, cioè la relazione di coppia tra Mike e Ben, mi ha colpito soprattutto la “normalità” un po’ tormentata della vicenda sentimentale. I romanzi di James Baldwin (nero e omosessuale come Washington) e poi quelli di Michael Cunningham avevano in qualche modo aperto al grande pubblico il mondo gay presentandolo come una qualsiasi altra sfumatura dell’amore. In PROMESSE, i due appaiono in tutto e per tutto come persone qualsiasi, con i loro alti e bassi e le loro insicurezze emotive, soprattutto considerando che uno dei due è sieropositivo e, se questo non rappresenta più una condanna come negli anni Novanta, nei libri di Washington resta comunque uno stigma sociale e personale (si pensi anche al personaggio di Rod, il pappone detto “Il Re”, in LOT).

Specie negli ultimi anni, le tematiche LGBTQ+ sono diventate di grande attualità nelle serie e nei romanzi ma la fiction ci ha abituati in modo subliminale al fatto che per avere una regolare vita sessuale bisogna essere quanto meno attraenti (vedi ad esempio Oliver e Connor in LE REGOLE DEL DELITTO PERFETTO); invece in PROMESSE il protagonista è esplicitamente molto grasso e poco fascinoso eppure ha – come tutti – le sue occasioni.

In realtà non riesco a concepire come il sesso sia al centro di molte interazioni nel libro ma probabilmente questo è un problema e un limite mio, dato che ho riscontrato questo tipo di approccio in moltissime storie di finzione.


Lo stile di Bryan Washington è molto interessante ma al contempo difficile da inquadrare: sia in PROMESSE (in modo accentuato) sia nel suo libro precedente LOT, assistiamo ad un vero e proprio scisma espressivo: i tratteggi paesaggistici e i ricordi hanno una forma quasi poetica mentre le descrizioni dei rapporto fisici sono brutali e a volte persino volgari.

In particolare, ho amato la parte in cui Mike, ormai a Ôsaka, ripensa ad alcuni momenti della sua infanzia col padre e la madre, prima che il matrimonio naufragasse.

Per quanto riguarda il circondario, le due città (il capoluogo del Kansai in Giappone e Houston in Texas) svolgono un ruolo centrale con la loro toponomastica e i loro peculiari colori, tanto che il volume di NN Editore è corredato di alcune foto. Sono immagini di vie, di palazzi, di giardinetti, che nella trama Mike manda a Ben con il cellulare e che spesso finiscono per sostituire le parole quando i sentimenti sono troppo difficili da esprimere. In effetti si nota come il conglomerato urbano sia importantissimo nell’opera di Washington in generale, perché in LOT i capitoli / racconti hanno tutti per titolo il nome di un quartiere di Houston.

Anche questo romanzo in originale si chiamava MEMORIAL, che è un luogo simbolo della città ma il titolo italiano è secondo me altrettanto evocativo: PROMESSE deriva da una frase nodale del romanzo: “Le promesse non sono che parole e il significato delle parole dipende solo da come ti comporti”. Per citare ancora una volta i Nirvana (una cover per la verità): “Who needs action when you got words?”: qui l’assunto viene in un certo senso ribaltato.


L’immagine di copertina, che riprende l’originale, ha una valenza metaforica molto forte: da un lato sembrerebbe essere una bandiera bianca, un segno di resa;

dall’altro però – a guardar meglio – si tratta di un sacchetto di plastica appeso a due bacchette ad indicare gli ultimi, i marginali rifiutati dalla società e sbattuti di qua e di là dal vento, come la Hojarasca di García Márquez o la busta della spesa abbandonata filmata da Wes Bentley in AMERICAN BEAUTY.

Commenti

  1. Grazie. Interessante è assolutamente “non spoilerante “ come recensione: ho apprezzato.

    RispondiElimina

Posta un commento

Post popolari in questo blog

I GERANI DI BARCELLONA

CHE GUEVARA AVEVA UN GALLO

TERRE SENZA DIO