IL REGNO DI RAME

 



S.A. Chakraborty,  Mondadori Oscar Vault


VOTO: 8.5

Diciamo subito che IL REGNO DI RAME ha lo stesso difetto di base del primo libro della TRILOGIA DI DAEVABAD, LA CITTÀ DI OTTONE, ovvero lo scorrere irregolare e non documentato del tempo. In questo secondo romanzo, ad esempio, passano ben cinque anni da una scena all’altra e il lettore si trova spiazzato di fronte a un gap così grande.

Tuttavia, a parte questa pecca, IL REGNO DI RAME è davvero ricco e coinvolgente, molto più dinamico del primo. Chakraborty è bravissima nelle descrizioni, che sono sempre pregnanti e avvolgenti che sfiorano la poesia (“Il cielo era di un nero intenso, la moltitudine di stelle era bella e invitante”… “Ma lui non è un folletto primaverile. Suo è il fiume del sale e dell’oro e non vedrà il suo popolo soggiogato”)

Come per LA CITTÀ DI OTTONE, il riferimento forte alla cultura delle antiche leggende arabe è molto interessante anche se, in un primo momento si fa un pochino di fatica a seguire i rimandi alle varie tribù jinn e alle loro lingue; ma a questo si può ovviare andando al glossario a fine volume, che è scritto in maniera narrativa e piacevole, non piatta come un’enciclopedia. Inoltre ho scoperto che esiste uno spazio su Wiki Fandom dove i personaggi e le ambientazioni vengono spiegate molto bene, con tato di fanart.

Sono meravigliose le descrizioni dei paesaggi e dei vestiti dei jinn durante le grandi feste, che quasi contrastano – con il loro fulgore – con la violenza brutale dei resoconti dei numerosi attacchi che subiscono i quartieri shafit (i sangue-di-terra, imparentati con gli umani) e la stessa città di Daevabad. (“C’era solo stupore, dolore e carneficina”) E, a sorpresa in mezzo all’affresco delle storie arabe, troviamo anche interessanti tocchi steampunk che possono sembrare fuori posto, ma che io ho apprezzato molto (forse perché amo il genere): abbiamo per esempio un “automa di ottone” e “astrolabi smontati”, mentre l’accenno a mordaci libri stregati ricorda HARRY POTTER e suona un po’ ingenuo.

I personaggi sono molto ben delineati – più approfonditi che nel primo volume – e ci vengono presentati anche nelle loro debolezze. Mentre l’Afshin Dara (ritratto come “un avvenente brandello di caos”) resta un po’ in disparte – in un accampamento segreto che ricorda quello di REBEL di Alwyn Hamilton – i due fratelli al Qahtani Muntadhir e Ali – sono in primo piano e si analizzano meglio le relazioni e i sentimenti di entrambi, verso Nahri – la protagonista – ma non solo.

Un ruolo determinante è affidato alla sorella al Qahtani, Zaynab, che nel primo libro era molto defilata; mentre conosciamo personaggi che nel primo libro erano solo stati evocati, come Manizheh, la madre di Nahri, anche lei dotata dei grandissimi poteri curativo / scientifici dei Nahid.

Una menzione speciale per la veste grafica dell’edizione italiana cura di OSCAR VAULT: la copertina è molto più bella e raffinata dell’originale e sotto, il libro è impreziosito da un disegno azzurro che spicca sul nero; le pagine hanno la solita, bellissima bordatura colorata.

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