IL RIFLESSO DEL PASSATO

 



Dan Chaon, NN Editore


VOTO: 10 +

IL RIFLESSO DEL PASSATO è un libro complesso, in cui le vite dei protagonisti si intrecciano a poco a poco svelando frammenti degli avvenimenti.

Vediamo Jonah, che cresce nel ventre della “balena” che è sua madre Nora (una mezzo-sangue Sioux); ma non è lui ad essere gettato in mare. Prima di lui, Nora ha dato via un bambino, che aleggia come un fantasma o come un amico invisibile nell’infanzia di Jonah. È esattamente come in IL SELVAGGIO di Guillermo Arriaga, in cui il piccolo Juan Guillermo cresce giocando sui tetti con il gemello morto Juan José. Jonah è come un changeling, un bambino scambiato.

Poi vediamo Troy, barista e piccolo spacciatore di droghe leggere, padre di un bimbo di sei anni e lasciato dalla moglie Carla, persa a Las Vegas nel vortice della droga.

Siamo a St. Bonaventure (Nebraska), un paesino in declino circondato per chilometri dalla prateria: sono i paesaggi dell’America profonda, lontani da città come Chicago e Denver. Troy si sente intrappolato dalla cavigliera della libertà vigilata; Jonah è cresciuto sentendosi intrappolato nella piccola casa gialla di sua madre. Sono entrambi degli “Ismaele” (“Call me Ishmael”), persone che sono tutti e nessuno e vagano nel vuoto, lasciati soli nel mondo. Jonah non sa molto delle amicizie a lungo termine e ha atteggiamenti da stalker. Le sue cicatrici esteriori (causate dai morsi del cane Elizabeth) sono il riflesso delle cicatrici interiori. Anche per via del suo aspetto, che a volte suscita disprezzo e meraviglia, Jonah è bloccato, anche se è convinto che “con il tuo lavoro puoi conquistare chiunque”, e infatti è bravo e si fa apprezzare come cuoco. Chaon mostra tutto con precisione e crudezza fotografica: l’aggressione che subisce Jonah, l’arresto di Troy ….

Troy – che avrebbe dovuto avere il nome di un eroe classico e si è ritrovato, per ironia della sorte, con il nome di una città distrutta – è in un certo senso come Jonah: con migliaia di potenzialità sprecate.

Nora, prima divorata dal rimorso di aver dato via il suo bambino poi preoccupata e resa inquieta dai comportamenti del suo secondogenito, cade in depressione. Ha ventidue anni quando tenta di togliersi la vita per la prima volta. Jonah ha quattordici mesi. Riecheggia qui Sylvia Plath (“I have done it again / One year in every ten / I manage it” ): quando la poetessa morì (nel 1963), i figli avevano uno e tre anni.

Ho sempre sentito Sylvia come parte della mia famiglia immaginaria, una famiglia in cui il padre è Kurt Cobain, il leader dei Nirvana. E rivedo proprio lui in Troy e nel tenero rapporto che ha con suo figlio Loomis che l’autore ha definito “affetto feroce” ma io chiamerei piuttosto “ruvido” e che però è bellissimo perché è davvero sincero, addirittura straziante.

Come ho detto, in questo libro di Dan Chaon il passato torna a frammenti, in salti temporali e le persone pian piano perdono i loro contorni reali per entrare in una storia di finzione. Soprattutto il viso di Nora si cancella (non ci sono più fotografie e le ceneri sono sparse in un anonimo fossato) e diventa immaginazione. Il meccanismo che fa scomparire i tratti del volto creando vortici di ricordi (veri o falsi che siano) e rimpallando il lettore da un anno all’altro è simile ai fantasmi che si estinguono THE HAUNTING OF BY MANOR in cui i personaggi sono rinchiusi in ricordi sempre meno nitidi, infatti “Paragonato al resto degli esseri umani, Jonah esisteva a malapena – non era niente, solo un fascio di frammenti casuali di storie e ricordi che portava con sé.”


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