CREPITIO DI STELLE

 



Jón Kalman Stefánsson, Iperborea

VOTO: 8.5

CREPITIO DI STELLE è una saga famigliare che prende le mosse ai primi del Novecento con la generazione dei bisnonni e arriva agli anni Duemila con un Io narrante quarantenne. Il motore principale del racconto è l’amore che lega come un filo rosso i personaggi, ma non si può ignorare che l’ambientazione ha un ruolo fondamentale: Reykjavík - capitale che resta comunque al di fuori del mondo - ma anche la bellissima, maestosa natura nordica. Viene in mente il DIALOGO DELLA NATURA E DI UN ISLANDESE, con il marinaio intento a fuggire dalle sue stesse radici, che incontra una donna stupenda e terribile. Così era il bisnonno, sempre alla ricerca di nuove avventure. Il padre è invece un uomo ben radicato, con la sua piccola utilitaria e la sua cazzuola – la nuova donna (la matrigna) che spunta una mattina come un troll sconosciuto e prepara un’indigesta pappa d’avena.

Per quanto possa sembrare che esista una cesura tra città e campagna, il cielo limpido col suo baluginio di stelle si stende sempre come una coperta su ogni cosa, nello stesso modo in cui il grande Ghiacciaio dell’Ovest compare in quasi tutte le storie del Capitano dai capelli rossi. Si parla dell’amore sotto al cielo stellato, come negli straordinari versi di Pablo Neruda (La noche está estrellada / y tiritan azules, los astros, a lo lejos. //El viento de la noche gira en el cielo y canta […]); si parla della notte che sovrasta le persone, come nella canzone dei Sigur Rós intitolata STARÁFUR (Staring Elf). Nelle narrazioni islandesi persiste l’elemento magico delle antiche leggende, ma qui il setting è per lo più cittadino (tranne la breve parentesi del bisnonno nella penisola dell’Ovest). Il paesaggio è riflesso delle emozioni dei protoagonisti e pare di sentire quella “musica delle sfere” che coinvolge l’armonia di tutto l’universo e che recentemente gli astronomi hanno rilevato.

Lo stile poetico di Kalman Stefánsson rende benissimo lo stato d’animo dei personaggi e tocca il suo apice nelle parti in cui a parlare è il Narratore Bambino. Difficilmente gli scrittori sono in grado di rendere i pensieri dei più piccoli in modo credibile, ma Stefánsson ci riesce egregiamente animando i soldatini del bambino e descrivendo i giochi di quartiere di quella Reykjavík anni Sessanta, con le strade che parlano come se avessero vita propria, come delle piccole Penny Lane. È un romanzo più urbano di quelli di Laxness o di Hamsun, ma resta comunque forte la componente naturalistica.

Il punto di vista, nella parte del racconto dedicata al Narratore Bambino, è fantastico e sognante come in SABOTAGGIO D’AMORE di Amélie Nothomb, e infatti anche qui i bambini sono capaci di sentimenti intenssissimi. Sono questi slanci d’amore incondizionato, profondo terrore e cattiveria che mi sono piaciuti di più, ma anche la storia dell’inquieto bisnonno è ben articolata e con il sapore romantico di una vecchia foto color seppia. Le azioni sono spesso incorniciate da una finestra che, sia nel presente che nel passato, offre un grado di separazione dalla realtà e che ha (ancora una volta) un sapore leopardiano.

Ho incontrato un pochino di difficoltà nell’orientarmi nella storia perché i membri della famiglia non sono indicati col nome proprio e anche i nomi propri suonano poco noti per noi italiani.

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