LA TARDA ESTATE

 


Luiz Ruffato, La Nuova Frontiera

VOTO: 9.5

Siamo a Cataguases (Minas Gerais), a undici ore da San Paolo. Un viaggio difficile e lento, come solo i viaggi in America Latina possono essere; ma Oséias Moretto Nunes sente di dover pareggiare i conti col passato.

Cataguases è la città della sua infanzia, della sua adolescenza. Lì vivono ancora le sue due sorelle – Rosana e Isinha – e suo fratello João Lúcio, e poi c’è sempre la sorella Lígia, la cui morte pesa come un macigno su tutti; ci sono i vecchi compagni di scuola e i professori, la cui vita è radicalmente cambiata

Oséias (detto Paperoga per via della sua magrezza) è ormai una è una presenza marginale in una famiglia disgregata. Ognuno dei fratelli è un microcosmo a parte, che non comunica con gli altri e spesso è travolto da un muro interno al suo stesso nucleo famigliare. Come dice la nipote Tamires, ogni persona è un pianeta che ha la propria orbita e la cui sopravvivenza dipende dall'esistenza degli altri.

Rosana, diventata borghese grazie ai traffici loschi del marito, vive una vita triste, ossessionata dall’apparenza, prendendosi un “day off” settimanale dal marito. Isinha al contrario è povera e si arrabatta tra mille lavoretti più o meno legali e una famiglia allargata che ha la carica narrativa dei diciassette Aureliani di CENT’ANNI DI SOLITUDINE, e quasi non le rimane tempo per parlare con quel fratello che non vede da vent’anni.

L’àmbito famigliare così triste e solitario – a tratti squallido – si duplica nell’àmbito sociale, in cui la realtà dei meninos da rua è tangibile.

Senza eccessivi clamori, Ruffato mette in scena quel “razzismo democratico” che fa del Brasile il più grande esperimento culturale dell’America Latina. Più che per il colore della pelle, il disprezzo serpeggia per coloro che non hanno una condizione sociale agiata. La fantasia e la diversità si leggono nei nomi – che sono un’ode all’inventiva – e nei cognomi – che sono un patchwork di culture diverse, mentre la natura e la cucina rimandano a un colorato contesto tropicale; infine è presente – pur rimanendo sottotraccia, vestigia dei giorni spazzati via dal tempo – il sincretismo che rievoca i libri di Amado (in particolare troviamo un rimando a SANTA BARBARA DEI FULMINI)

Tuttavia troppo spesso quei piatti dai nomi così suggestivi e quelle crdenze permeate di magia sono legati al passato, un passato cocreto al di sotto di un presente che sta rovinando tutto. Come succede all’inizio di 23/11/63 di Stephen King, tutto sembrava più buono e più autentico un tempo. Ora le tavole calde sono polverose e sporche e il caffè sempre troppo annacquato, E imperano ovunque la Coca Cola, come simbolo dell’omologazione mondiale e le coltivazioni di soia che divorano la foresta.


Ruffato affronta anche altri temi spinosi come la morte e l’eutanasia.

La scrittura procede per ritornelli: l’effetto è di grande musicalità ma al contempo rivela l’angoscia del protagonista, un uomo di mezza età che sente di aver fallito su tutta la linea. Non ci sono espliciti punti di contatto con altri romanzi dell’autore: c’è sì lo sradicamento di un emigrato a San Paolo ma il passato è privo di lotte, idilliaco prima di un crollo che comunque resta nella sfera personale. Non ci sono espliciti contatti se non un frase che il protagonista riferisce al suo vecchio compagno, ora sindaco: “Neanche si ricorda di me … D’altronde chi si ricorda di me?”


LA TARDA ESTATE è strutturato come una sorta di diario con la divisione in giorni da Martedì 3 marzo a Domenica 8 marzo e ogni giorno comincia con le prole “mi sveglio” scritte in minuscolo e finisce con un incoerente flusso di coscienza, come se si entrasse in in medias res in un continuo scorrere di pensieri e di piccoli avvenimenti.

Ci sono diversi punti di contatto col romanzo GLI ANNI INVISIBILI del boliviano Rodrigo Hasbún.

Innanzitutto il lasso temporale: anche nel libro di Hasbún passano circa vent’anni tra il passato e il presente, e gli eventi cruciali del passato si svolgono in marzo; anche lì c’è un fatto (una morte) che sconvolge tutti e cambia per sempre il corso della storia.

LA TARDA ESTATE semplifica e rende accessibile lo stream of consciousness della grandissima Clarice Lispector e, mantenedone i toni cupi e amari, porta i significati fuor di metafora con semplicità.

Ottima la traduzione di Marta Silvetti, che ha anche ricevuto il premio Babel per il suo lavoro sul romanzo LA BAMBOLA DI KOKOSCHKA del portoghese Afonso Cruz.

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