NESSUN AMICO SE NON LE MONTAGNE

 

NESSUN AMICO SE NON LE MONTAGNE dell’autore curdo-iraniano Behrouz Boochani è un libro molto particolare che mescola generi e stili. È innanzitutto un memoir, che rientra a pieno e in maniera eccellente nella letteratura carceraria. L’odissea su un barcone dall’Indonesia verso l’Australia è una toccante testimonianza di quanto avviene quotidianamente anche sulle nostre coste, e allo stesso modo, la reclusione per cinque anni sulla remota isola di Manus (Papua Nuova Guinea) è uno specchio di ciò che succede a Lampedusa. La narrazione dei fatti è affidata a migliaia di messaggi scritti con un cellulare fatto entrare di nascosto (ma come otteneva la corrente?). La prosa unita alla poesia eleva il testo dalla sola testimonianza nuda e cruda, rendendola invece una prova di sensibilità artistica; ma a questo stile misto di versi e frasi si mescolano anche considerazioni sociologiche di valore accademico, come ad esempio identificando il Sistema carcerario con la Kyriarchia, concetto introdotto dalla femminista radicale Elisabeth Schüssler Fiorenza per definire un sistema sociale basato sull’oppressione, la dominazione e la sottomissione.

Per ottenere questo effetto alienante, il Sistema (la “S” maiuscola indica una personalizzazione sovrumana) utilizza vari mezzi: per prima cosa le code che scandiscono la vita dei prigionieri, costretti a mettersi in fila continuamente, per qualsiasi cosa (mensa, sigarette, telefono, bagni …). Un caso particolare è costituito dalla coda per le pastiglie anti-malariche che, di per sé sono un placebo, una favola creata ad arte per instillare panico e dipendenza.

Secondo tassello da tenere a mente è la gerarchia delle guardie; al gradino più basso i Papu (cioè i locali, siano essi della PNG o autoctoni dell’isola di Manus) che di fatto non hanno potere decisionale, al di sopra le guardie australiane fredde e distaccate, e infine una serie infinita di Capi di cui non si vede la fine e che se ne stanno nascosti nei loro palazzi.

Ovviamente l’ingresso al Centro era interdetto ai giornalisti, e per questo la testimonianza interna di Boochani è in parte paragonabile a quella del nostro Fabrizio Gatti. Dal punto di vista stilistico invece ho pochi metri di confronto, essendo un caso unico nella non-fiction, ma ho da poco iniziato a leggere THE POET X di Elizabeth Acevedo, autrice statunitense di origini dominicane che scrive servendosi di una prosa in versi ispirati agli slam poetici e al rap.


Pur raccontando alcuni episodi molto forti, Boochani non esplicita troppo la violenza, la disperazione e la deprivazione del Campo Fox ma anzi, sottolinea la resilienza dei prigionieri che cercano comunque motivo di svago e allegria. Così facendo, scegliendo cioè uno sguardo tutto sommato esterno, Boochani crea una serie di personaggi identificati per le loro caratteristiche fisiche o mentali.

A mettere in chiaro senza mezzi termini la brutalità del sistema carcerario sono i saggi di Omid Tofighian (traduttore dal persiano all’inglese) e Richard Flanagan (scrittore australiano – tasmaniano – che ha vinto il Booker Prize). Entrambi gli autori parlano apertamente di violenze, stupri e suicidi sia nel campo dell’isola di Manus sia in quello a Nauru. Soprattutto Flanagan definisce la politica migratoria australiana – non più in vigore, per fortuna! - come un’onta, e io direi che è questa la “grande macchia” su cui gli australiani contemporanei dovrebbero riflettere.

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