IL MIO NOME È MOSTRO




Katie Hale, LiberiLibri

VOTO 7

IL MIO NOME È MOSTRO è un classico romanzo post-apocalittico. Ci troviamo in quella che una volta era la Gran Bretagna, spazzata via da una guerra batteriologica. Una donna è l’unica sopravvissuta all’ecatombe della Malattia: suo padre la chiamava con affetto “Mostro”.
Seguiamo il suo percorso a piedi verso sud, verso la Scozia, e ascoltiamo i suoi pensieri e i suoi ricordi attraverso campagne gelate e spoglie e città devastate e abbandonate, “dove non c’è niente, solo vastità” e “l’unico prezzo da pagare è essere soli”. Fino all’arrivo in una ex fattoria dove vivono ancora delle galline. Questo è il primo punto di svolta, qui nasce la stabilità del cominciare a coltivare, e con essa la speranza, proprio come avveniva nel bellissimo film coreano CASTAWAY ON THE MOON, in cui riuscire a coltivare cereali e poi preparare un piatto di spaghetti rappresenta la huimang, la “fiduciosa attesa”.
Durante uno dei giri nella vicina città, Mostro trova una ragazzina. È totalmente incolta, non conosce l’educazione e nemmeno il linguaggio – o forse lo ha semplicemente dimenticato. La donna la porta con sé alla fattoria e la chiama Mostro, intendendo che anche lei è una sopravvissuta, mentre lei diventa Madre, una creatrice grazie alle parole che man mano le regala. Il Verbo è sempre stato importante come principio generativo: il vero nome di uno spirito serve a controllarlo e qui si insiste molto sul fatto che le due sopravvissute usino le pagine dei libri per alimentare il fuoco. Dopo l’arrivo del piccolo Mostro, la vita diventa regolare e quasi normale nella desolazione del paesaggio. Si crea un piccolo microcosmo che comincia a reinverdire e a consolidarsi, e pesino la minaccia dei cani selvatici affamati sembra lontana. Nasce un rifugio in cui mettere radici. Madre sa cosa c’è al di fuori ma decide di lasciarlo lì; piccolo Mostro si interroga ma preferisce la sicurezza di un legame che unisce come un ponte.

Nel libro di Katie Hale ci sono molti elementi del genere post-apocalittico distopico, che lo fanno accostare spontaneamente a LA STRADA ma, mentre nell’opera di Cormac McCarthy si percepisce una costante cappa di tristezza, qui abbiamo diversi spiragli che si aprono alla vita e alle nuove possibilità.
L’aspetto più interessante è sicuramente la sfaccettata riflessione sulla maternità o – più in generale – sulla creazione.
La scrittura è davvero ottima – sia nella prima parte, scritta dal punto di vista della donna / Mostro, sia nella seconda in cui abbiamo il punto di vista della ragazzina / Mostro e lo stile è perciò semplificato – ma la storia non riesce a coinvolgere del tutto il lettore e quindi, nonostante uno stile che – ripeto – ha punte eccellenti, non posso dare un voto troppo alto.

Commenti

Post popolari in questo blog

I GERANI DI BARCELLONA

CHE GUEVARA AVEVA UN GALLO

TERRE SENZA DIO