CHE GUEVARA AVEVA UN GALLO



Nicoloa Fantini, Laura Pariani, Sellerio


VOTO: 8

Beppe e Mirella sono due tipici borghesi della periferia di Milano: lui avvocato, lei insegnante di lettere, ma nel loro passato e nel loro presente c’è un forte impegno politico a sinistra che li spinge a cercare mete di vacanza quanto meno… alternative. E così, per aver letto IL TESORO DEL PRESIDENTE DEL PARAGUAY di Salgari e due libri di Graham Greene (IN VIAGGIO CON LA ZIA e IL CONSOLE ONORARIO) e conoscendo Augusto Roa Bastos, uno dei più importanti scrittori paraguayani, i due decidono di andare in Paraguay, “il Paese in cui c’è posto per tutti i sogni” e in cui vive il figlio Adriano, archeologo impegnato negli scavi alle reducciones gesuitiche, primo grande esempio di un’utopia comunitaria in quel luogo di “irregolari, pionieri, sognatori di mondi alternativi”.

In effetti in Paraguay, Mirella e Beppe trovano concretizzate mille idee diverse, passando attraverso villaggi e comunità alla ricerca del figlio che sembra essere in pericolo. Quel finale in “-guay” che un tempo era sinonimo di mirabolanti avventure , nella realtà dei fatti fa paura e porta i due coniugi a sperimentare minacce, arresti da parte dell’ottusa polizia locale, che ricorda il guardiano della porta di NON CI RESTA CHE PIANGERE (“Chi siete? Da dove venite? Un fiorino …”). Beppe, così attento alle questioni sociali, si interesserà della lotta dei contadini espropriati dalle multinazionali conoscendo Invención (un nome che potrebbe essere falso o essere frutto di quella prolifica, magnifica fantasia che solo il Sud America sa partorire), autista e guida che però ha qualcosa da nascondere. Il libro purtroppo è troppo breve: avrei voluto sapere di più su questo personaggio davvero interessante che è solo il maggiore di una carrellata di incontri memorabili. Alla ricerca di Adriano , i due Isnaghi lasciano ben presto la capitale Asunción e i luoghi più turistici per addentrarsi nelle regioni povere e selvagge. I paesaggi – sia urbani che naturali – sono descritti in maniera chiara e vivida; il confine tra Natura e Cultura, così spesso indagato dagli antropologi, qui si fa molto labile ed esistono ancora comunità ancorate al passato: i mennoniti, gli ariani, i lebbrosi… Per alcuni risvolti, gli autori richiamano l’esperienza di Ernesto Guevara sia pre- che post- Rivoluzione cubana. Non a caso il romanzo si chiama CHE GUEVARA AVEVA UN GALLO, titolo curioso che riprende l’adattamento “impegnato” di una filastrocca per bambini, ma anche il titolo di un film dei Fratelli Taviani, SAN MICHELE AVEVA UN GALLO su un rivoluzionario che prepara una rivolta ma fallisce.

Dal punto di vista dello stile di scrittura, all’inizio ho fatto un po’ di fatica perché, specie nei dialoghi tra Beppe e Mirella, ci sono molte parti in dialetto, ma devo comunque ammettere che queste sono abbastanza italianizzate da risultare comprensibili.

A margine va aggiunto che mi piacciono moltissimo le edizioni Sellerio, sia per la qualità della carta, sia per le copertine dal taglio artistico: in questo caso l’immagine della bambina con il pulcino è di Diego Rivera, pittore e muralista messicano.


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