LA CITTÀ DI OTTONE



S.A. Chakraborty, Mondadori
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VOTO quasi 9

LA CITTÀ DI OTTONE inizia come un romanzo storico. Ci troviamo al Cairo, nei primi anni dell’Ottocento, sotto l’occupazione napoleonica. Mutando la cornice storica, le stradine in cui abita Nahri sono le stesse di VICOLO DEL MORTAIO di Nagib Mahfuz: cosmopolite e brulicanti di vita. Nahri vive di espedienti, fregando i ricchi mercanti e ituristi, ma ha realmente delle capacità. Un giorno, per puro caso, evoca un daeva, un essere di fuoco del deserto – un jinn, anche se questo nome non gli piace – e scatena le ire di creature demoniache. Nahri e Dara si vedono costretti a fuggire verso la mitica città di ottone, Daevabad, dimora di diversi clan di jinn.
Ma chi è veramente Nahri e perché Dara la sta portando là? E Dara? Pare che sia entrato nelle leggende, ma cosa c’è nel suo passato?
Il libro è popolato di personaggi indimenticabili ed elementali, tratti dal folklore arabo che si muovono in un sistema magico e sociale piuttosto complesso. Ognuno è ben caratterizzato e sfaccettato. In questo LA CITTÀ DI OTTONE ha alcuni punti di contatto con, un altro sbalorditivo esordio EMPIRE OF SAND di Tasha Suri: ci troviamo davanti a uno stratificato sistema di caste, vincolate dalla magia dei jinn (daeva o daiva che dir si voglia).
In realtà esiste un ampio filone di romanzi fantasy di ispirazione araba (per l’esattezza, EMPIRE OF SAND è ambientato in una replica dell’India, ma non dobbiamo dimenticare che Tasha Suri è di origini punjabi, quindi influenzata da una profonda tradizione araba).
In libri come la trilogia di REBEL di Awlyn Hamilton si sottolinea lo status di mezzosangue umano/jinn, esattamente come in LA CITTÀ DI OTTONE. Qui la situazione dei cosiddetti shafit è al centro di una complicata strategia politica che avrà come fulcro Ali, figlio minore del Sultano di Daevabad.
Le descrizioni paesaggistiche e architettoniche volte al cromatismo sono il punto di forza del romanzo di S.A. Chakraborty ma sono un elemento che spicca in tutti i libri di questo genere fantasy “arabeggiante”. Sto pensando allo stile di LA MOGLIE DEL CALIFFO di Renée Ahdieh o ancora a EMPIRE OF SAND, con la tempesta incombente e i dreamfire che cadono dal cielo.
A partire da LA MOGLIE DEL CALIFFO – che è esplcitamente un retelling delle MILLE E UNA NOTTE – un’altra costante di quello che vorrei definire “Arabic fantasy” è il riferimento alle antiche storie tradizionali, iniziando da quella di ALADINO e del Genio schiavo della lampada. Così in LA CITTÀ DI OTTONE, alcuni daeva sono stati asserviti agli umani e vincolati ad un oggetto.
Terzo aspetto in comune a tutto l’Arbic fantasy è il deserto, che diventa un protagonista forte delle storie, dal Mare di Sabbia attraversato dalle carovane in REBEL fino alla distesa che circonda Daevabad prima del fiume, prima del velo che protegge la città magica che sorge su un lago maledetto.
Non vedo l’ora di continuare a leggere la storia di Nahri, Dara, Ali e tutti gli altri membri della corte! Ho già preso anche il secondo volume della trilogia in inglese, KINGDOM OF COPPER mentre il terzo, EMPIRE OF GOLD è uscito da pochi giorni.
Dai titoli dei tre libri si evince un quarto elemento, comune a gran parte dellArbic fantasy e preponderante nell'opera della Chakraborty: l'importanza delle proprietà dei metalli. Spero che questo aspetto venga approfondito nel corso della trilogia perché vorrei capirne la portata e le implicazioni, e magari condurre un paragone con l'allomanzia - o arte magica dei metalli - creata da Brandon Sanderson in MISTBORN

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