L'ANARCHICO




Soth Polin, O Barra O Edizioni

VOTO: 7

Soth Polin è un autore leggendario. Discendente del grande poeta Nou Kan, è uno dei pochissimi intellettuali cambogiani sopravvissuti alla follia dei Khmer Rossi. Fuggito in Francia, oggi vive stabilmente negli Stati Uniti
L’ANARCHICO è forse il suo testo più famoso e si divide in due parti ben distinte. La prima ha come protagonista A-Chhem, un giovane di origine contadina che viene portato in città dallo zio facoltoso per ricevere un’istruzione. Nonostante la generosità, lo zio tratta A-Chhem in modo scostante, quasi fosse un servo. Ma la storia ha una prima svolta quando il ragazzo si innamora della bella cugina Sinuon, che ovviamente non gli è destinata, e inizia a fare sogni erotici su di lei (ma sono davvero soltanto sogni?). Il tutto precipita in un vortice di specchi che mi ha ricordato LA VITA È SOGNO di Calderón de la Barca. La componente sessuale, sia in questa prima parte che nella seconda, è molto forte, quasi fastidiosa ma presumo che l’autore abbia calcato la mano volutamente con sciovinismo maschilista. Infatti le scene di sesso hanno un linguaggio gretto, che stride con la raffinatezza generale della prosa. Soth Polin raggiunge vette filosofiche incredibili sotto l’influenza di Nietzsche e Sartre, con un occhio alla tradizione asiatica, pur risultando sempre estremamente dissacrante ("A te cosa sembra più importante: che io non creda in niente... o che non ci sia niente in cui credere?") 
Questa dicotomia è chiara a partire dalle citazioni che troviamo all'inizio di alcuni capitoli: prima un brano tratto da IL PADIGLIONE D’ORO di Mishima, e poi un verso di Paul Verlaine, per capire la crudeltà di alcuni passaggi bisogna tener presente una considerazione di Philip Short, che fu corrispondente del “Times” dalla Cambogia e dalla Cina negli anni Settanta e Ottanta, Secondo il giornalista, l’educazione e la tradizione cambogiana è sempre stata intrisa di una certa dose di violenza e persino la trasposizione khmer dei classici indiani è più violenta.

La seconda parte ha come protagonista Virak, un esiliato cambogiano che in patria era stato giornalista ma era stato costretto a scappare a Parigi diventando tassista. La storia che Virak narra a una turista inglese incidentata e priva di sensi è fortemente autobiografica dello stesso Polin che fu giornalista ma fuggì dopo l’assassinio di un suo amico, il Ministro dell’Istruzione Thach Chea.
Come potete immaginare, questa sezione del romanzo è più difficile da seguire per noi Occidentali che non conosciamo nel dettaglio la storia politica cambogiana pre- e post- Khmer Rossi, anche perché i nomi sono un po’ complessi da ricordare e qualche volta cambiano (lo stesso Pol Pot cambiò nome un’infinità di volte per “confondere il nemico”). Per seguire meglio la vicenda, è quindi bene tenere a portata di click la pagina di Wikipedia o, se siete vecchia scuola come me, munirsi di un buon libro di analisi storico-politica. Certo, il monologo del tassista / giornalista Virak può essere letto anche in un altro modo: sorvolando sui nomi e concentrandosi sul senso di spaesato sradicamento di un uomo costretto a lasciare la propria terra e sul bisogno impellente di quest’uomo di parlare con qualcuno. Ma chi è l’interlocutore che egli sceglie? È una donna bionda, pallida e fragile, che non può reagire perché è morta. È lei il simbolo della cultura occidentale che finalmente non si può imporre come egemone. La donna morta è come la “pietra di pazienza” del libro del afghano Atiq Rahimi (per inciso, anche lui rifugiato in Francia): la sang-e sabur della mitologia è una pietra alla quale confidare tutto ciò che non si può dire a nessuno altro, una valvola di sfogo su cui riversare il proprio malessere finché un giorno essa non esplode.
E chissà che Soth Polin non ci voglia dire proprio questo: dato è stato l’Occidente a creare lo scacchiere politico asiatico (degli anni Settanta e di oggi), un giorno l’intero sistema, saturato del dolore degli invisibili (4 milioni di vittime secondo Polin, 1 milione e mezzo secondo Short. Per non parlare di quelli del Vietnam) potrebbe scoppiare.


Letture parallele:

IL PADIGLIONE D’ORO Yukio Mishima
POL POT – STORIA DI UN INCUBO Philip Short
HO CREDUTO NEI KHMER ROSSI Hoeung Ong Thong


da fare:

IL PITTORE DEI KHMER ROSSI Vann Nath
L’ELIMINAZIONE Rithy Panh
S-21 – LA MACCHINA DI MORTE DEI KHMER ROSSI Rithy Panh

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