ARCOBALENI




VOTO:8

Yasunari Kawabata, Guanda

ARCOBALENI, romanzo scritto tra il 1950 e il ‘51 da Yasunari Kawabata, è essenzialmente la storia di una famiglia che noi oggi chiameremo “disfunzionale”. Le protagoniste sono le sorelle Mizuhara: Asako, Momoko e Wakako. Le tre sono figlie di madri diverse ma, mentre Asako e Momoko vivono a Tokyo accanto al padre ed hanno tra loro un rapporto abbastanza stretto – anche se, in profondità, conflittuale – Wakako vive a Kyoto e non ha contatti né con le altre due né col padre.
Nello stile lieve e poetico di un Kawabata al suo meglio, il libro è un susseguirsi di descrizioni paesaggistiche naturali che si ricollegano allo stato d’animo delle protagoniste e al concetto giapponese di wabi/Sabi, poetica casualità studiata; e di notazioni sociali. Non dimentichiamo che è stato scritto dopo la guerra, in un periodo davvero molto difficile per il Giappone. E la Guerra (con la G maiuscola) è un’ombra pesante per tutto il romanzo, perché ha creato vuoti e incomprensioni incolmabili e nostalgia per ciò che non è stato Così, l’elemento fondamentale sono proprio gli arcobaleni (che rappresentano la bellezza effimera – come anche i ciliegi invernali, ma sono anche un ponte tra i vivi e i morti e tra il presente e il passato).
Perché Momoko ha una vita amorosa travagliata? Cosa la spinge a legarsi al giovanissimo Takemiya? Nel suo passato c’è una ferita che non potrà mai più essere sanata.
Ma, oltre alle bellissime descrizioni della flora nipponica, in ARCOBALENI ci sono anche anche tante piccole notazioni sociali che fanno intuire, senza approfondire troppo – come pennellate delicate – la situazione bellica e post-bellica. Dato che il signor Mizuhara (il padre delle tre sorelle) è un architetto, ci sono molte osservazioni inerenti la sua disciplina, come per esempio il fatto che dopo la guerra molte ville nobiliari fossero state trasformate e in alberghi di lusso e i vecchi militari fossero diventati una classe inutile, come i samurai senza padrone di un tempo. La vicenda si svolge tra Tokyo (di cui troviamo solo brevi scorci), Kyoto e Hakone, dove la fa da padrona la bellezza della Natura legata a filo doppio con i sentimenti di Momoko e Takemiya.
Utagawa Hiroshige CENTO FAMOSE VEDUTE DI EDO -TAKANAWA, citato nel romanzo

La struttura della famiglia mi ha ricordato, per la sua complessità genealogica, OUR LITTLE SISTER – DIARIO DI KAMAKURA, il manga di Akimi Yoshida; mentre la trama e la descrizione dei sentimenti è quella tipica di Kawabata e del Movimento Neopercezionista (Shinkankakuha), che si proponeva di cogliere la realtà attraverso le sensazioni, e ci sono anche rimandi alla letteratura occidentale (L'arrogante marchese come IL GRANDE GATSBY?)
I personaggi sono ben delineati, con una psicologia stratificata e complessa. Come in ogni romanzo giapponese c’è una forte divisione tra ura (l’aspetto privato) e omote (l’aspetto pubblico), tanto che ci si chiede quali siano i reali sentimenti che muovono i protagonisti. Momoko, con la sua ferita legata al primo amore, Asako matura e responsabile, Wakako icona del tenero bocciolo (L’ideogramma di “Waka” potrebbe essere quello con cui si scrive anche la parola “giovane”); Takemiya, fragile, insicuro e, in fondo, infantile. Anche gli altri personaggi della storia acquisiscono un loro intrinseco spessore e non possono essere definiti “secondari”: Ôtani, cognato di Wakako e padre di una neonata, e poi Natsuji, fratello del primo amore di Momoko.

La traduzione di Lydia Origlia è davvero eccellente, con esaustive note a pie’ pagina e la recente ristampa di Guanda ha una copertina bellissima, anche se forse non del tutto inerente al contenuto (ad essere precisi, parlando di Kyoto, il tema delle geisha viene sfiorato da Kawabata, ma è molto fumato, quasi solo suggerito).

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