THE MARVELOUS MRS MAISEL



VOTO: 8
DISPONIBILE: Amazon Prime Video (due stagioni; confermata la terza)

Ho appena finito di guardare le due stagioni disponibili di THE MARVELOUS MRS MAISEL, una piccola perla nascosta che pochi hanno scoperto perché tutti seguono il grande mercato di Netflix ignorando la nicchia nascente di Amazon Prime.
La storia: New York 1958. Miriam – Midge – Maisel vene lasciata dal marito Joel un giovane con velleità da comico nei locali della città. Andandolo a cercare una sera, lei si ubriaca e sale sul palco in uno dei posti in cui lui di solito si esibisce e … risulta divertentissima, un vero talento naturale! Così Susie la nota e decide di diventare la sua manager. Midge inizia quindi una doppia vita: ragazza dell’alta borghesia – tutta scarpe, trucco e cappellini – di giorno e comica sboccata di sera. Il tutto va avanti per un anno all’insaputa della sua famiglia. Dopo la rottura con Joel, infatti, Midge è tornata dai suoi: Rose – la classica casalinga per bene dell’Upper East Side con aspirazioni artistiche e Abe – un brillante matematico che insegna alla Columbia.

l’intera serie si regge su una comicità misurata, fine e davvero divertente, che più di una volta strappa allo spettatore una vera risata non solo per le battute di Midge sul palco ma anche per le situazioni della vita quotidiana, che sono poi lo spunto per i “numeri” di Miriam.
Lo slogan di Susie – usato come incoraggiamento prima degli spettacoli – è “Tette in su! (Tits up!)”e infatti uno dei punti forti della serie è il risvolto femminista delle sue implicazioni: ovvero si insiste molto sulla capacità di Miriam e Suzie di cavarsela in un mondo maschile e maschilista. Questa impostazione non porta però – per fortuna – al solito sesso facile che imperversa ultimamente nelle serie anglosassoni. Come ho detto, tutto è molto misurato.

Per quanto non riesca a trovare difetti nella serie, la prima stagione (8 episodi) non mi faceva venir voglia di andare avanti e confesso che stavo per mollare; il perché non lo so nemmeno io. I personaggi sono bellissimi e ben costruiti:
  • Rachel Brosnahan nel ruolo di Miriam Weismann / Maisel è eccezionale: bella e fine come una pubblicità anni Cinquanta;
  • Alcuni miei amici hanno trovato insopportabile il marito Joel Maisel (Michael Zegan) ma io invece lo considero un personaggio complesso e ben strutturato, ricco di sfumature, davvero umano e anche bello fisicamente (alla maniera vintage degli anni Cinquanta);
  • Anche il padre di Miriam, Abe Weismann è grandioso perché è involontariamente comico lui stesso, così meticoloso e chiuso nel suo guscio di abitudini;
  • E poi il grande interrogativo che tutti ci siamo posti: Susie (Alex Borstein) è lesbica? Parrebbe di no anche se il suo aspetto e il suo comportamento richiamano in modo garbato l’equivoco;
  • Ma in tutto questo il mio personaggio preferito si potrebbe considerare “minore”: Lenny Bruce (Luke Kirby), un affermato comico che Midge incontra sulla sua strada e col quale stringerà una vera amicizia, per una volta non sessuale.
La seconda stagione è nettamente più bella della prima e invoglia alla visione episodio dopo episodio: innanzitutto abbiamo due interessanti diversivi, cioè il viaggio di Rose a Parigi e le vacanze della famiglia sulle Catskills, la località di montagna in per i newyorkesi bene. Questi due scenari allargano l’ambientazione e sono i picchi più interessanti della serie.
Il cardine fondamentale della seconda stagione è l’incapacità di Abe di conoscere e capire i suoi figli: non solo Midge, ma anche suo fratello Noah nasconde un segreto.

Il fatto forse più fastidioso di LA FANTASTICA SIGNORA MAISEL è un difetto che ho riscontrato in moltissimi romanzi e film statunitensi contemporanei, ovvero l’auto-referenzialità della comunità ebrea di New York.
Se dovessi citare dei libri da leggere come corollario alla serie, indicherei infatti la nuova generazione di scrittori ebrei americani: in primis Elizabeth Strout con libri come OLIVE KITTERIDGE e il bellissimo I RAGAZZI BURGESS; ma anche PASTORALE AMERICANA di Philip Roth, che mettono tutti in scena il gap tra genitori e figli; mentre per il linguaggio – che a volte indugia nel yddish – il richiamo potrebbe essere Jonathan Safran Foer e soprattutto il suo ultimo romanzo, ECCOMI. Parlando di cinematografia, io non ho grandi competenze ma citerei senz’altro – con un assist piuttosto facile – i film di Woody Allen per la “comicità esperienziale”. In particolare nei due o tre episodi ambientati a Parigi, mi è venuto in mente il delizioso MIDNIGHT IN PARIS.

È già stata confermata la terza stagione, che avrà un’apertura ancora maggiore, vista l’evoluzione finale della seconda stagione.

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