LE OTTO MONTAGNE


Paolo Cognetti, Einaudi
 

 

VOTO: 7-

 

In Nepal si dice che il mondo è una ruota. Al centro c’è una montagna altissima – il monte Sumeru – intorno ci sono otto montagne che sono i raggi della ruota, collegate  da otto mari. Si chiede il saggio se avrà imparato di più chi si arrampica sul monte Sumeru o chi sale su tutte e otto le vette.

 

LE OTTO MONTAGNE di Paolo Cognetti parla del rapporto tra Pietro – detto Berio (in dialetto “masso”) e suo padre Gianni, gran camminatore delle montagne nella zona alle spalle di Milano. Il paesino di Grana è immaginario ma molti hanno riconosciuto Graines, nella Valle di Ayas (in Val d’Aosta).

In questo mondo idilliaco lontano dalla confusione della grande città, Pietro conosce Bruno, montanaro per vocazione, forse un po’ stereotipato nella caratterizzazione (chi non ha pensato a Heidi e Peter?). Nasce quella che, se fossimo in un romanzo young adult chiameremmo brOTP (da “Brother” + “One True Pairing”): un vero, profondo rapporto di amicizia fraterna che dura negli anni e che si consolida nel momento centrale del libro, la ristrutturazione della casa detta “barma” (in dialetto “roccia”), la casetta che Gianni lascia in eredità a suo figlio e a Bruno, quasi sapesse che sarebbe stata un catalizzatore, un loro modo di sentirsi uniti.

Cognetti scrive bene, è innegabile. E tuttavia LE OTTO MONTAGNE mi ha lasciato tiepida. Non c’è nulla di nuovo sotto il sole. Sembra di leggere Mauro Corona o un qualsiasi altro scrittore che parli di montagna (MARINA BELLEZZA di Silvia Avallone, ad esempio). La scrittura manca di sincerità, tanto che sono andata a cercare una biografia dell’autore per capire se avesse frequentato una scuola di scrittura creativa, dove ti “insegnano” gli artefici giusti per confezionare un romanzo da scaffale.

Tornando ai punti buoni del libro, bisogna aggiungere che qui la Natura è una forza possente e indifferente che ammalia, colpisce ma sa anche regalare momenti di serenità.

Il protagonista si deve allontanare dai sentieri conosciuti per esplorare la catena dell’Himalaya (e se stesso). Anche questa deriva meditativa  e l’impegno umanitario da hippie tardivo non mi hanno fatto impazzire.

Detto ciò, il  mio voto è un 7 perché la scrittura riesce ad essere potete al di là dei momenti di stanca (che giustificano il “meno”): ho trovato diversi passaggi da sottolineare e da salvare.

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